La crisi della Germania si allarga: perché si è chiusa un’altra settimana pessima per la nazione tedesca? Dall’industria al sistema bancario fino alla politica, i guai di Berlino sono molti.
La Germania continua a percorrere una strada in salita e piena di insidie, sia a livello politico che economico. Gli eventi delle ultime settimane hanno infatti dimostrato nuovamente i lati deboli di quella che un tempo era la potenza e il motore dell’Europa e che oggi si ritrova a indossare i panni del “malato dell’Ue”.
Dalla pandemia alla guerra in Ucraina, passando per la crisi energetica, il ridimensionamento delle relazioni commerciali con Pechino, le sfide dell’industria automobilistica, Berlino ha forse evitato il collasso, ma non è riuscita a evitare - e finora a risolvere - una crisi profonda e strutturale.
Le ultime due settimane hanno fornito prove aggiuntive della complessa situazione tedesca. Dagli inattesi risultati elettorali della Turingia, con l’estrema destra a dare un colpo al Governo di Scholz già indebolito, fino alle crisi dei colossi industriali e bancari, la Germania ha archiviato un inizio di settembre da dimenticare. Le ultime notizie da Berlino lo confermano.
L’industria tedesca al capolinea?
I colossi industriali della Germania vacillano. La Volkswagen, la più grande casa automobilistica del Paese, ha affermato di voler porre fine a un accordo sindacale in vigore da decenni e di voler probabilmente chiudere le fabbriche nazionali a causa della domanda in calo.
In seguito, la BMW ha tagliato le sue previsioni sugli utili per l’intero anno. “Non ha senso indorare la pillola: la Germania continua a restare indietro a livello internazionale”, ha scritto Tanja Gönner, presidente del gruppo di lobby dell’industria BDI, in un rapporto che sollecitava un’azione immediata per migliorare la competitività del Paese e rinnovare la sua economia fortemente basata sull’industria.
Come evidenziato in una analisi pubblicata su Bloomberg, i venti contrari alla crescita economica si stavano intensificando da un bel po’ di tempo in Germania.
L’industria manifatturiera tedesca, la spina dorsale della sua economia, è stata duramente colpita dalla domanda in calo da parte dei consumatori in Cina, una destinazione chiave per le esportazioni delle eleganti auto di lusso e dei sofisticati macchinari del Paese. L’anno scorso, l’aumento dell’inflazione ha avuto un impatto sulle famiglie e sulle stesse imprese, con costi energetici schizzati alle stelle e una strategia di approvvigionamento del gas da reinventare dopo l’esclusione dellaa Russia come principale fornitore.
Tra i produttori più colpiti dal rallentamento della domanda in Cina è emerso proprio il colosso Volkswagen, che da decenni fa affidamento sul Paese asiatico come fonte chiave di vendite e profitti. Mentre il dragone rimane un’importante regione di vendita, la quota di mercato dell’azienda si è erosa negli ultimi anni a causa della forte concorrenza di rivali cinesi e Tesla nei veicoli elettrici.
Inefficienze e costi elevati hanno ulteriormente impantanato il gigante industriale, che impiega oltre 600.000 persone in tutto il mondo. La BMW, intanto, è stata costretta a tagliare le sue previsioni di utili per l’intero anno a causa del calo della domanda in Cina e di un richiamo di 1,5 milioni di auto per sistemi frenanti potenzialmente difettosi.
Questi ultimi erano forniti dalla Continental, che godeva della reputazione di uno dei produttori di componenti per automobili più efficienti e competitivi d’Europa, prima che anni di rapida espansione si trasformassero in declino.
Mentre alcune parti del business dell’azienda, come le sue operazioni di pneumatici, hanno continuato a generare profitti sani, altre divisioni hanno dovuto affrontare molteplici cicli di ristrutturazione e migliaia di tagli di posti di lavoro. “L’umore nell’industria automobilistica sta rapidamente peggiorando”, ha affermato Anita Wölfl, esperta del settore presso l’Ifo Institut tedesco, in un rapporto della scorsa settimana, citando aspettative estremamente pessimistiche per i prossimi sei mesi.
Il caso Commerzbank-UniCredit
I guai aziendali della Germania non si limitano al suo settore industriale principale. Mercoledì mattina, UniCredit ha sorpreso gli investitori annunciando di aver accumulato una quota del 9% in Commerzbank, diventando il secondo maggiore azionista della banca.
La Commerzbank ha ricevuto un salvataggio dai contribuenti tedeschi in seguito alla crisi finanziaria e la notizia dell’operazione UniCredit è arrivata appena una settimana dopo che il governo aveva dichiarato che avrebbe ridotto la sua quota del 16,5% nella società per spianare la strada a una banca più indipendente e competitiva.
La banca italiana dovrà ora trovare un terreno comune con i principali stakeholder in Germania, tra cui funzionari governativi, altri azionisti e rappresentanti dei lavoratori che hanno già espresso la loro opposizione all’operazione, sostenendo che banche forti sono essenziali per sostenere una solida economia nazionale.
“Il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner deve ora impegnarsi chiaramente nei confronti della Germania come sede aziendale e opporsi alla minaccia di acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit”, ha affermato mercoledì in una nota Frank Werneke, capo del sindacato Ver.di.
La questione ha quindi aggiunto malumore e segnali di debolezza in Germania.
La crisi politica tedesca e la minaccia della destra estrema
Non solo economia, anche la politica attraversa un periodo buio in Germania.
Il Governo semaforo di Scholz è stato destinatario del crescente malcontento per le difficoltà economiche della Germania e per le tensioni nei suoi principali settori industriali.
Ciò è emerso chiaramente nelle elezioni regionali in Turingia e Sassonia, dove è aumentato a sorpresa il sostegno per l’estrema destra AfD e un nuovo partito di sinistra fondato solo all’inizio di quest’anno.
L’AfD ha battuto i rivali del partito al Governo. Le prossime elezioni si terranno il 22 settembre nel Brandeburgo, lo stato tedesco che circonda Berlino, e si prevede che l’AfD vincerà o arriverà secondo.
Non è un caso che proprio questa settimana la Germania abbia annunciato l’intenzione di estendere i controlli a tutti i suoi confini terrestri e di respingere un maggior numero di richiedenti asilo nel tentativo di ridurre l’immigrazione irregolare, in un cambiamento importante rispetto alla sua precedente politica delle porte aperte (si ricordi la mossa della Merkel nel 2015 per accogliere richiedenti asilo dalla Siria).
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Gli analisti affermano che, sebbene l’immigrazione irregolare abbia messo a dura prova i servizi pubblici, è probabile che i piani di Scholz siano motivati politicamente e rappresentino un tentativo di arginare il sostegno all’opposizione di estrema destra (anti-immigrazione) e ai conservatori in vista delle elezioni statali e federali.
Anche questa decisione racconta di una nazione indebolita a livello politico. L’orizzonte appare ancora nero per la Germania.
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