Fusione nucleare vuol dire energia infinita? Intervista al fisico Francesco Romanelli

Dario Colombo

13/12/2022

13/12/2022 - 17:21

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La fusione nucleare ha fatto un passo verso la produzione di energia illimitata e pulita. Francesco Romanelli fissa il traguardo al 2050 per avere energia elettrica a disposizione per tutti

Fusione nucleare vuol dire energia infinita? Intervista al fisico Francesco Romanelli

La fusione nucleare può concretizzare il sogno umano di produrre energia infinita, di farlo in modo sostenibile e pulito, senza produzione di gas serra. Una cosa che si sa da decine di anni, che però è sempre stata vista come un futuro al limite del non immaginabile.

Invece ora abbiamo una data, il 2050, un obiettivo e dei parametri da seguire. Li abbiamo grazie ai risultati ottenuti negli USA dal National Ignition Facility del Lawrence Livermore National Laboratory in tema di fusione nucleare, dato che per la prima volta è stata realizzata con un saldo positivo di energia: ossia l’energia prodotta dall’esperimento è stata superiore a quella utilizzata per scatenare la reazione e la fusione nucleare.

Nel dettaglio, sono stati utilizzati 2,1 MegaJoule di energia proveniente da fonte laser, per produrne 2,5.
Un evento simbolo, ma non simbolico: la produzione di energia da fusione nucleare è da tempi negli obiettivi della ricerca scientifica e il fatto che si sia ottenuto un saldo positivo di energia fa sì che l’esperimento possa essere scalabile.

Per capire meglio se davvero sono infinite le possibilità di generazione di energia della fusione nucleare, Money.it ha interpellato Francesco Romanelli, professore straordinario di Fisica del’Energia Nucleare presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, uno dei massimi esperti della tematica nucleare in Italia.

Francesco Romanelli Francesco Romanelli Il professor Francesco Romanelli ha diretto dal 1996 al 2006 le attività in Fisica del Confinamento Magnetico dell’ENEA, dal 2006 al 2014 ha diretto JET, grande esperimento di fusione a confinamento magnetico presso il centro UKAEA di Culham e dal 2009 al 2014 ha diretto lo European Fusion Development Agreement, che ha prodotto la roadmap dell’Energia da Fusione, un vero e proprio documento di riferimento EURATOM

Professor Romanelli, la fusione nucleare è davvero a una svolta epocale?

Premettendo che al momento quello che sappiamo sono anticipazioni di stampa e che per valutare attentamente i risultati dobbiamo attendere la pubblicazione dei dati, possiamo dire alcune cose.
Già un anno fa il Lawrence Livermore National Laboratory aveva raggiunto un risultato interessante, con la produzione di energia pari al 70% di quella iniettata nella capsula di fusione. Il risultato di cui si sta parlando ora è una produzione del 20-25% superiore, quindi un risultato rilevante. La cosa emblematica è che per la prima volta è stata prodotta più energia di quella che è stata immessa. Il saldo energetico è positivo, a nostro favore.

Può spiegare schematicamente come avviene la fusione nucleare?

Ci sono 192 fasci laser che convergono su una capsula di 2 centimetri.
All’interno della capsula la radiazione laser viene convertita in raggi X che fanno implodere una pallina di combustibile di poco peso.
Per farlo i raggi ablano la superficie della sfera.
Così facendo generano una compressione interna che provoca un innalzamento della temperatura necessaria alla fusione, da cui scaturisce l’energia.

Un processo spiegato semplice, ma complesso da ottenere…

Nei laboratori del Lawrence Livermore National hanno iniziato nel 2009. Ora siamo nel 2022 e in questi anni sono stati superati vari problemi. L’ impianto laser ha prodotto prestazioni superiori a quanto era previsto ma l’ottenimento dell’implosione della pallina è stato più complesso di quanto atteso.

La fusione nucleare è tutto merito degli americani?

No, esiste una linea di ricerca in Europa sul confinamento magnetico. Lo scorso febbraio il progetto Jet (in funzione dal 1983) ha raggiunto la produzione di 60 megaJoule.
Ma la quantità di energia iniettata era maggiore. È stato ottenuto il 30-40% di quanto iniettato, ma una prestazione comunque di rilievo. Ricordiamo dunque, che il fattore più importante dell’evoluzione indicata dal laboratorio LLN è che la fusione ha raggiunto il pareggio di energia.

Quali porte apre questo risultato per la produzione di energia?

Per produrre energia, cioè elettricità, dalla fusione dobbiamo andare avanti. Non basta ottenere il 20 o il 30% in più, ma dobbiamo puntare a ottenere 10, 20 30 volte più energia rispetto a quella che iniettiamo nella camera di fusione.
Su questi obiettivi l’esperimento principale è quello del progetto ITER, un grande laboratorio nel sud della Francia, che dovrebbe produrre 10 volte l’energia di quella iniettata. In pratica 50 MegaWatt per ottenerne 500.

Quali sono le sfide che abbiamo davanti per produrre elettricità?

Non basta raggiungere dalla fusione un guadagno di 10, 20 volte, ma occorre anche convertire l’energia prodotta in eletttricità. Qui ci sono due grossi filoni di ricerca. Da un lato quello di produrre materiali che possono resistere a condizioni estreme e poi raggiungere la capacità di produrre il combustibile necessario dentro il reattore. La fusione avviene con l’utilizzo di due isotopi dell’idrogeno: deuterio e tritio.
Di deuterio ne abbiamo quanto ne vogliamo: ce ne sono 30 mg in un litro d’acqua. Il tritio invece non si trova in natura e va prodotto all’interno del reattore, utilizzando il litio. Un reattore a fusione, quindi, consumerà deuterio e litio per produrre energia. Dobbiamo dimostrare di poter farlo in maniera efficiente.

Quando ce la faremo ad avere elettricità da fusione nucleare?

La Roadmap elaborata 10 anni fa prevedeva che con un buon programma nel 2050 avremmo avuto elettricità generata da fusione nucleare. Questo è possibile ma richiede forte determinazione e fondi. Oggi molte società private stanno entrando nel campo.
Io stesso sono presidente di un consorzio, il DTT, Divertor Tokamak Test, situato a Frascati e a cui partecipano Enea ed Eni, ed è un esperimento per lo sviluppo di soluzioni innovative per l’estrazione del calore nei reattori a fusione. Ma come dicevano uno dei problemi più importanti sulla via dell’utilizzo dell’energia da fusione sono i materiali.
Dobbiamo dimostrare che possiamo costruire componenti in grado di resistere all’elevato calore generato dentro il reattore a fusione. In pratica oggetti che possano sopravvivere sulla superficie del sole.

La fusione nucleare sarà il vero game changer che ci consentirà di produrre in modo sostenibile infinita energia pulita?

Confermo che la fusione nucleare in prospettiva è la sorgente migliore per integrarsi con le rinnovabili e per consentire la produzione di energia al tempo stesso pulita, sicura e sostenibile. Abbiamo combustibile come deuterio e litio sulla terra per andare avanti ai consumi attuali per decine di milioni di anni. Se usassimo il solo deuterio, ma con condizioni di utilizzo più estreme, potremmo andare avanti per decine di miliardi di anni.
La fusione non produce gas serra, non ha scorie, dato che la radioattività dei materiali di scarto decade rapidamente. Ma la fusione ha i suoi tempi: non è una tecnologia immediatamente disponibile.
E attenzione a non confondere le azioni urgenti da fare da qui al 2050 per decarbonizzare, con quelle per il raggiungimento di un sistema energetico totalmente sostenibile. Per fare questo serve avere il nucleare da fusione. L’ideale sarebbe avere un sistema energetico che si basa all’80% su rinnovabili e per il 20% sul nucleare da fusione.

Quando?

Dal 2050 in poi.

E che ne facciamo deI nucleare da fissione?

Si è evoluto, deve essere una componente del mix energetico. Va considerato che sulla terra c’è molto meno uranio di quanto deuterio ci sia. E il problema sono le scorie, che richiedono tecnologie avanzate per essere smaltite.
Sul medio periodo, comunque, il nucleare da fissione avrà un ruolo.

Guardando al futuro, la fusione nucleare sarà l’ennesimo terreno di scontro fra Paesi?

Le ricerche sulla fusione ci sono da oltre 50 anni e sono condotte in maniera cooperativa, in particolare in Europa e anche con paesi extra europei. Il progetto ITER è il risultato di una collaborazione fra Unione Europea, Usa, Russia, Cina, Giappone, Corea del Sud e India. Il know how che ne nascerà sarà un patrimonio di cui potranno usufruire tutti i paesi. Ciascuno farà una scelta sul reattore da fusione. Ma il patrimonio scientifico sarà fruibile da tutta l’umanità.

Quali sono gli ostacoli a questo futuro, c’è qualcosa che potrebbe andare male?

Come dicevo ci sono molte sfide da affrontare. Noi ci occupiamo di ricerca e sviluppo, quindi non ci è possibile prevedere esattamente il risultato. Ma la storia della fusione ci insegna che tutte le sfide sono state vinte: è una storia di continui progressi, enormi. La produzione controllata di energia da fusione la facciamo dagli anni 90.
Non facciamo promesse, ma facciamo cose nuove. E grazie alla collaborazione internazionale e all’Euratom le sfide che abbiamo davanti possono essere vinte.

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