Dalla crescita dei ricavi al crollo del titolo: questa azienda italiana è davvero in crisi o sta preparando la ripartenza? Tutti i dati e i retroscena da conoscere.
Sette anni fa MARR era una delle storie più solide del Mid Cap italiano. Ma oggi il gigante italiano della distribuzione alimentare per la ristorazione ha perso il 68% del suo valore in Borsa, con un prezzo passato da 26 euro del 2018 a meno di 9 euro.
Come può un gruppo che serve oltre 55.000 clienti, presidia tutto il canale foodservice, conta 40 piattaforme distributive e un assortimento di 25.000 prodotti perdere così tanta fiducia da parte del mercato?
Perché il titolo crolla mentre il fatturato continua a salire, anno dopo anno, con un +25% rispetto ai livelli pre-pandemia?
La risposta non sta in un singolo evento, ma in una lunga sequenza di fragilità, shock esterni, rincari inattesi, investimenti pesanti e margini che, anno dopo anno, si sono assottigliati.
Dai massimi del 2018 al crollo
Per capire davvero dove nasce la discesa bisogna tornare al 2019, quando qualcosa nel motore di MARR inizia a incepparsi. I ricavi erano ancora in crescita, ma l’utile netto aveva cominciato a rallentare, segnalando una pressione sui margini che fino a poco prima non si era vista. A complicare il quadro c’erano alcuni costi legati alla chiusura della controllata AS.CA e l’effetto dell’IFRS 16, che aveva modificato il modo in cui la posizione finanziaria netta veniva letta dal mercato. Piccoli segnali che hanno iniziato a suggerire che la corsa non era più così lineare.
Poi arriva il 2020 e tutto cambia di colpo. La pandemia colpisce esattamente dove MARR è più esposta: il canale Horeca. Bar e ristoranti si fermano, gli hotel lavorano a intermittenza, l’intero mondo dell’Away From Home vive la peggior crisi degli ultimi decenni. Per MARR è un impatto frontale: la domanda scompare in poche settimane, mentre la struttura dei costi rimane sostanzialmente rigida. I margini si assottigliano, l’utile si comprime e quella scivolata che nel 2019 era solo accennata diventa strutturale. E anche quando i ricavi torneranno a salire negli anni successivi, la redditività non tornerà più dove stava prima della pandemia.
Il recupero del 2021-2023 infatti avviene in condizioni tutt’altro che favorevoli. I prezzi delle materie prime schizzano verso l’alto, l’energia vive un’impennata che mette sotto pressione l’intera filiera e la logistica diventa più costosa e instabile. MARR continua a fare il proprio mestiere, consegna, mantiene la sua forza commerciale e si riprende in termini di volumi. Ma il contesto è cambiato: ogni euro fatturato vale meno in termini di margini e ogni punto percentuale di redditività richiede uno sforzo maggiore. Il mercato, che ormai guarda più alla capacità di generare utili che alla crescita del fatturato, registra questo cambiamento e lo riflette nelle valutazioni con molta più cautela.
Fatturato cresce ma la redditività è troppo bassa
Gli ultimi risultati disponibili raccontano un’azienda che funziona, ma che non riesce più a trasformare il fatturato in utili come prima. Nel 2024 MARR ha chiuso con ricavi totali per 2.098 milioni, in lieve aumento rispetto ai 2.085,5 milioni del 2023 (ma +25% rispetto ai livelli di sette anni fa). Dunque, il problema non è il fatturato. È la qualità dei numeri.
L’EBITDA è infatti sceso a 120,2 milioni (da 123,1), l’EBIT a 80,7 milioni, il risultato netto passa da 47,1 milioni a 42,7 e risente ancora dei costi finanziari legati a un costo del denaro che nel 2023-2024 è rimasto elevato. La posizione finanziaria netta, salita a 237,9 milioni (da 170,4), fotografa un indebitamento più impegnativo rispetto alle fasi di massimo splendore del passato. Nel frattempo il margine netto, intorno all’1,8% nel 2025, conferma una fragilità strutturale con cui il mercato ormai convive.
I segmenti commerciali, poi, mostrano un quadro eterogeneo. Lo Street Market resta piatto a 1.350 milioni, la ristorazione strutturata cresce ma non abbastanza, la collettiva mostra segnali misti, mentre il Wholesale sale a 208 milioni ma resta un segmento che impatta poco sulla redditività.
Il risultato è un’azienda che continua a macinare volumi, ma con margini che non riescono a risalire nonostante gli investimenti, come quello della nuova piattaforma centrale di Castelnuovo di Porto, operativa dal 2025 e pensata proprio per recuperare efficienza.
Il mercato, però, continua a penalizzare il titolo e oggi non vede ancora quel recupero di redditività che potrebbe riportare il valore in Borsa sui livelli pre-Covid.
Ed è così che, nonostante ricavi in crescita, dividendi confermati (0,60 euro per azione) e una strategia che guarda alla qualità del servizio, il titolo resta bloccato intorno a 8-9 euro, lontanissimo dai massimi.
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