Agenda Draghi e paradosso di Rimini: quando serve, il «debito buono» sparisce

Mauro Bottarelli

28 Agosto 2022 - 13:20

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Il governo lavora al nuovo decreto sul caro-energia. Ma nonostante i numeri allarmanti, Palazzo Chigi si oppone allo scostamento di bilancio. E lo short sui Btp offre un alibi. Con tempismo perfetto

Agenda Draghi e paradosso di Rimini: quando serve, il «debito buono» sparisce

Sembra passato un secolo da quando Mario Draghi, parlando dal palco di quello stesso Meeting di Rimini che lo ha appena visto tornare in pubblico per la prima volta dopo le dimissioni, di fatto presentò la sua Agenda sotto mentite spoglie e lanciò il suo approdo a Palazzo Chigi. Di quel lungo intervento, a tutti rimase in mente una formula, quasi fosse la versione domestica del Whatever it takes annunciato nel 2012 per evitare l’esplosione dell’eurozona: Esiste debito buono e debito cattivo.

Come dire, smettere con mance e mancette, poiché il debito pubblico è alle stelle e va messo seriamente a dieta. Ma no a rigorismi miopi, visto che esistono spese dello Stato finalizzate a uno sviluppo di medio-lungo termine che poi si tramutano in Pil. Tutti applaudirono. Come d’altronde fecero nel pieno della seconda ondata di pandemia, quando sempre il capo del governo sentenziò che questo è il tempo di dare e non di chiedere ai cittadini. Insomma, niente nuove tasse, niente ghigliottine fiscali e di riscossione. Ma, anzi, sostegni e ristori.

E ora? Ora qualcosa non torna. Perché se esiste al mondo un momento in cui le regole e i patti vanno (e possono essere) disattesi, è questo. Al netto di un vincolo di Stabilità bellamente andato in cavalleria per tutto il 2023 e di scelte come quelle della Francia di ri-nazionalizzare EdF che si sostanziano come palese moratoria de facto anche dei regolamenti rispetto agli aiuti di Stato e alla concorrenza, perché il governo dice no a uno scostamento di bilancio per evitare lo tsunami energetico sull’economia nazionale? La settimana entrante vedrà infatti convocato il Consiglio dei ministri per una decretazione d’urgenza relativa all’annosa questione delle maxi-bollette di luce e gas. E, stante anche il clima da campagna elettorale, le ricette poste sul tavolo variano.

Ma solo una è la costante. Il no di Palazzo Chigi a extra-indebitamento. Mario Draghi sarebbe infatti determinato a seguire solo tre strade: utilizzo delle extra-entrate IVA dello Stato, abbattimento degli oneri statali sul prezzo dell’energia per le aziende e caccia ai 9 miliardi di extra-profitti che i big del comparto non hanno versato. avendo garantito allo Stato solo 1 dei 10 miliardi messi implicitamente a bilancio, dopo le entrate record garantite dalla galoppata dei prezzi delle commodities. In totale, si parla di 8-10 miliardi di stanziamento per cercare di far respirare imprese e famiglie.

Pochi. Decisamente pochi. Perché al netto di proposte praticamente inutili e unicamente propagandistiche come la riapertura immediata del rigassificatore di Piombino, alcune forze politiche chiedono appunto a gran voce uno scostamento di bilancio da 30 miliardi di euro. Insomma, nuovo debito. E tanto, apparentemente. Ma in realtà, un terzo di quanto registrato su base mensile nel mese di giugno, quando il totale del nostro fardello debitorio ha toccato il record assoluto di 2.766 miliardi di euro e segnato più 11,2 miliardi sul mese precedente. Ma la questione, più che contabile, è tutta politica. Perché se la Francia nazionalizza allegramente e la Germania salva con soldi pubblici Uniper, qualcuno dovrebbe avere il coraggio di chiedere al governo la ragione di un no così drastico a una plastica situazione da se non ora, quando?

Ma come si fa, quando Terzo Polo, PD e Forza Italia richiamo la mitologica agenda Draghi a ogni piè sospinto come stella polare del loro agire post-elettorale? Di più, quando il sovra-esposto Terzo Polo addirittura ammette candidamente di puntare a un Draghi-bis. Ed ecco che, alla luce di questa disputa, viene spontaneo rileggere sotto un’altra luce lo strano tempismo con cui il Financial Times ha reso nota la mega-posizione short montata dagli hedge funds contro il nostro debito. Come dire, stante 39 miliardi di scommessa ribassista, ora uno scostamento di bilancio si prefigurerebbe come detonatore della dinamica. Ovvero, spread in aumento che renderebbe auto-alimentante quella mossa speculativa. Balle.

Per due ragioni. Se la Bce volesse, manderebbe quegli hedge funds per stracci insieme alle loro scommesse. Semplicemente perché il controvalore di Bund acquistati durante il Pepp, alla luce addirittura di extra-emissioni compiute da Berlino durante il 2021, garantisce un firewall potenziale quasi infinito. O, quantomeno, sufficiente a fiaccare temporalmente pazienza e liquidità di quei fondi. Certo, se invece - casualmente - proprio nel periodo pre-elettorale e sfruttando l’alibi di una Bundesbank nel panico per l’inflazione dei prezzi alla produzione, la Bce dovesse rallentare il ritmo del concambio fra Bund e Btp, allora l’effetto cambierebbe. Anche e soprattutto per le opinioni pubbliche.

Secondo, stando a quanto scritto da S&P nel suo report relativo a quella posizione short contro l’Italia, oltre alle tensioni politiche - un must quarantennale di ogni attacco speculativo come la questione meridionale, la giustizia lenta e la lotta all’evasione - ci sarebbero soprattutto gli effetti collaterali sul Pil della dipendenza italiana dal gas russo alla base dell’azzardo dei fondi. Ecco, quindi, che evitare il fallimento potenziale di 120.000 imprese (stime di Confindustria) e il blocco di interi comparti - dalla siderurgia al tessile alle ceramiche - attraverso uno scostamento di bilancio una tantum e realmente emergenziale, dovrebbe essere prezzato come fattore positivo e non aggravante per le nostre dinamiche macro.

O forse quel tempismo, unito a quello con cui si lanciato l’ennesimo lacrimogeno mediatico relativo alla rete spionistica russa in Italia, servono proprio a nascondere la vera agenda Draghi, evitando guai a chi l’ha sostenuta e la sostiene a spada tratta in campagna elettorale? Perché se il prezzo del gas decuplicato in 18 mesi non rappresenta un’emergenza da debito buono, viene da chiedersi quale fattispecie lo possa fare. Perché guardandoci attorno, abbiamo una Germania nei guai serissimi ma comunque in grado di operare sul cuscinetto di una ratio debito/Pil più che sufficiente a tamponare i fall-out di bilancio.

E una Francia che sta facendosi beffe di ogni regola Ue e incamerando entrate stellari proprio tramite le vendite energetiche all’estero garantite dal nucleare della nazionalizzata EdF. Appare quindi chiaro come il sistema produttivo ed economico italiano (e perché no, persino bancario) diverrebbe - oltre che bersaglio della speculazione - anche preda di shopping ostile. Perché quindi questo apparente autolesionismo, a fronte di 30 miliardi di scostamento? Forse, oltre all’agenda Draghi, esiste anche un’agenda Bruxelles che occorre però mantenere segreta fino almeno al 26 settembre? Non sarà che certe posizioni intransigenti e impermeabili a una realtà in drammatico e costante peggioramento siano giocoforza imposte da un do ut des che Roma ha in essere con la Commissione Ue, al centro del quale si trova un capitolo esiziale per il nostro Tesoro, lo stesso che emette quel debito contro cui si sta scommettendo?

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