Dopo l’inflazione, l’euro sta diventando un problema

Luna Luciano

5 Luglio 2025 - 21:14

L’inflazione sembra sotto controllo, ma l’euro mostra segnali di debolezza. Ecco perché la moneta unica rischia di diventare un nuovo ostacolo per l’economia dell’Eurozona.

Dopo l’inflazione, l’euro sta diventando un problema

Nonostante l’inflazione si sia stabilizzata sul 2%, il costo degli alimenti aumentano, è il caso di dirlo: l’euro non sta andando bene.

Per mesi, i riflettori sono stati puntati sulla lotta all’inflazione, che ha eroso il potere d’acquisto e alimentato incertezze nei mercati. La Banca Centrale Europea (BCE), attraverso una politica monetaria restrittiva, è riuscita a riportare il tasso di inflazione generale al 2%, il livello considerato “ideale” per la stabilità dei prezzi. Tuttavia, dietro questo dato apparentemente rassicurante si nascondono fragilità che stanno emergendo con maggiore evidenza proprio ora che il fronte dei prezzi sembra essersi calmato.

In particolare, preoccupa l’inflazione dei beni alimentari e dei servizi, ancora su livelli elevati, e il rallentamento della domanda interna. A complicare il quadro si aggiunge un nuovo elemento critico: l’euro stesso.

La moneta unica, che per anni è stata simbolo di solidità e coesione dell’Eurozona, sta diventando un problema. Il suo andamento nei confronti del dollaro, così come l’effetto su esportazioni, competitività e politica monetaria, pongono nuovi interrogativi su come gestire la prossima fase economica.

In questo contesto, la BCE è chiamata a scelte sempre più complesse: da una parte la pressione per stimolare la crescita, dall’altra la necessità di evitare ulteriori squilibri valutari e inflattivi. Per quanto possa sembrare un controsenso l’abbassamento dell’inflazione ma l’aumento dei prezzi dell’Eurozona, ci sono diversi fattori da prendere in considerazione: ecco tutto quello che sta accadendo.

Inflazione sotto controllo? Sì, ma non ovunque e non per tutti

Dopo un periodo di forte accelerazione, l’inflazione nell’Eurozona ha finalmente raggiunto il target del 2%. Secondo le stime preliminari di Eurostat, anche l’indice core, che esclude alimenti ed energia, è stabile al 2,3%, rafforzando l’idea che l’inflazione sia in fase di rientro. Tuttavia, dietro la superficie calma dei dati aggregati si nascondono tensioni persistenti, in particolare nei settori dei servizi e dei beni alimentari, dove i prezzi continuano a salire.

L’inflazione dei servizi è cresciuta al 3,3% a giugno, mentre i prezzi degli alimenti restano tra i principali elementi di pressione sul bilancio delle famiglie. Per molte persone, l’inflazione “percepita” resta significativamente più alta rispetto ai dati ufficiali. Basti pensare che l’inflazione media percepita dai consumatori europei è ferma al 3,1% da mesi. Questo divario alimenta insoddisfazione sociale e sfiducia nelle politiche economiche.

Nel frattempo, la BCE mantiene un atteggiamento cauto. Nonostante il calo delle aspettative di inflazione a breve termine, gli analisti ritengono improbabile un nuovo taglio dei tassi nella riunione di luglio. L’istituto centrale vuole evitare un rilancio prematuro della domanda che potrebbe riaccendere i prezzi, soprattutto alla luce delle incertezze geopolitiche che influenzano i mercati dell’energia.

In altre parole, la stabilizzazione dell’inflazione è un risultato importante, ma fragile. Dipende da variabili esterne difficili da controllare, come il costo dell’energia (in balia degli equilibri geopolitici) e non basta, da sola, a far ripartire un’economia che mostra segni evidenti di stanchezza.

L’euro forte è un freno: perché la moneta unica è ora un problema

Mentre l’inflazione mostra segni di stabilità, è l’euro a diventare motivo di preoccupazione. L’euro, in rapporto al dollaro, si sta rafforzando e secondo il vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, un tasso di cambio fino a 1,20 USD è ancora gestibile. Ma oltre questa soglia, l’impatto sull’economia europea potrebbe diventare pesante.

Un euro troppo forte penalizza le esportazioni, rendendo i prodotti europei meno competitivi sui mercati globali. Questo aggrava la già fragile situazione del settore manifatturiero, che resta sotto la soglia di crescita. L’indice PMI, ad esempio, è ancora sotto 50 punti in molti Paesi chiave, tra cui Italia e Francia, segnalando contrazione. Solo la Spagna mostra segni di crescita moderata.

Inoltre, l’euro forte limita i margini di manovra della BCE. Una valuta forte rende le importazioni meno costose, ma al tempo stesso impedisce politiche monetarie espansive, perché potrebbe ulteriormente rafforzare la moneta e danneggiare ancora di più l’export.

L’economia europea, già appesantita da consumi stagnanti e investimenti piatti, non trova dunque nell’euro una leva di rilancio, ma un ulteriore ostacolo. Questo complica la gestione del ciclo economico e spinge gli analisti a ipotizzare un approccio ancora più prudente da parte della BCE.

Il paradosso è che, dopo mesi di attenzione sull’inflazione, oggi è la stabilità della moneta a diventare fonte di squilibrio. Un euro forte, in un contesto di crescita debole e domanda interna fiacca, rischia di diventare un boomerang per l’intera Eurozona. L’illusione che bastasse domare l’inflazione per tornare alla normalità si sta rapidamente dissolvendo.

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# Bce

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