Dichiarazione infedele, ecco in quali casi è responsabile anche il prestanome

Nadia Pascale

11 Novembre 2025 - 13:26

Corte di cassazione: anche il prestanome è responsabile in caso di dichiarazione infedele. Ecco perché e cosa rischia.

Dichiarazione infedele, ecco in quali casi è responsabile anche il prestanome

Il prestanome è responsabile in caso di dichiarazione infedele? Ecco cosa dice la Corte di cassazione. L’attività di prestanome è molto rischiosa e spesso le persone assumono la decisione di comparire come amministratori di società o titolari di beni con eccessiva leggerezza, ma la Corte di cassazione ribadisce che in caso di reati tributari, come la dichiarazione infedele, anche il prestanome è responsabile.

Vediamo perché il prestanome, secondo la Corte di cassazione, deve rispondere del reato di dichiarazione infedele.

Dichiarazione infedele cos’è?

La dichiarazione infedele è il reato tipico di chiunque, al fine di evadere le imposte indica in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo oppure elementi passivi inesistenti. Questo il contenuto dell’articolo 4 del decreto legislativo 74 del 2000.

Il reato è punito con la reclusione da 2 a 4 anni.
Affinché si materializzi il reato è necessario che:

  • l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 100.000;
  • l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore a euro due milioni.

Come si può notare, come elemento soggettivo del reato è previsto il dolo specifico, cioè il soggetto deve agire con l’intenzione di evadere le imposte.

Perché il prestanome risponde di dichiarazione infedele?

La sentenza della Corte di Cassazione 34191 del 20 ottobre 2025 chiarisce ulteriormente i limiti della responsabilità per dichiarazione infedele. Nel caso in oggetto il Tribunale di Milano prima e la Corte di Appello dopo confermano la condanna per dichiarazione infedele di un soggetto che in realtà ha avuto la funzione di prestanome.

Tra le doglianze del soggetto “Si censura la sentenza (appello) per aver ritenuto sufficiente il fatto che l’A.A. avesse accettato di rivestire, per amicizia, la carica di amministratore della società, ed avesse sottoscritto le dichiarazioni per l’anno 2015 senza operare alcun controllo. Si evidenzia, in particolare, che il ricorrente era un mero prestanome del dominus B.B., ed era ignaro della inesistenza della società straniera emittente le fatture, tanto più che le dichiarazioni fiscali erano predisposte dal commercialista.

Secondo la difesa non erano ravvisabili i presupposti della conoscenza della macroscopica attività illecita svolta, di conseguenza non è ravvisabile il dolo richiesto affinché si verifichi la fattispecie di dichiarazione infedele finalizzata all’evasione fiscale.

Dichiarazione infedele, ecco perché il prestanome non poteva non sapere

La Corte di cassazione su questo punto sottolinea che i giudici di merito (primo grado e secondo grado) hanno invero

concordemente ritenuto che, pur essendo emersa la figura di B.B. Fabio come dominus della ASCIFORM Srl, l’A.A. - chiamato a rispondere del reato di dichiarazione infedele in relazione alla carica di amministratore di diritto della società - non poteva essere considerato un semplice inconsapevole prestanome del B.B.

I motivi sono diversi:

  • in primo luogo il prestanome aveva lavorato per un decennio nelle aziende del reale amministratore, si ha quindi un rapporto consolidato tra le parti;
  • Il prestanome presso l’azienda era impegnato in qualità di docente e in qualità di coordinatore tecnico degli altri docenti, aveva quindi un ruolo di responsabilità e di conoscenza del modo di lavorare;
  • aveva accettato la carica di amministratore delegato senza ricevere altri compensi correlati alla carica stessa, e senza conoscere le ragioni che avevano indotto il B.B. a nominarlo: pur avendo quest’ultimo comunicatogli che " non poteva comparire per ragioni legate ad aspetti evidentemente di rischi che correva comparendo in società”.
  • pur essendo vero che il prestanome non aveva nozioni di contabilità, secondo la Corte di Cassazione era culturalmente attrezzato per capirne i rischi anche perché in quella realtà per molti aveva operato e la conosceva bene;
  • infine, era proprio il prestanome a fornire ai terzi le prestazioni per le quali non veniva richiesta e pagata l’IVA: «ciò doveva indurlo a verificare che la società da lui rappresentata fosse in regola con la normativa fiscale».

Ribadisce la Corte di Cassazione che il dolo specifico richiesto per integrare la fattispecie della dichiarazione fraudolenta è integrato con accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.
L’accettazione del rischio è rinvenibile nel fatto che il prestanome conosceva bene l’attività per la quale stava facendo da prestanome, era a conoscenza anche del fatto che il reale amministratore non poteva comparire. Viene quindi confermata la condanna.

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