Il deposito unico per le scorie nucleari metterà in crisi il Governo?

Erasmo Venosi

15 Maggio 2019 - 13:27

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Il tema del deposito unico per le scorie nucleari potrebbe mettere i bastoni fra le ruote all’esecutivo gialloverde

Il deposito unico per le scorie nucleari metterà in crisi il Governo?

Il motivo che molto seriamente porterà alla crisi di questo Governo non si chiama né flat tax, né tav e nemmeno regionalismo differenziato o contestazioni della Commissione Ue.

Il motivo sarà la pubblicazione dei siti idonei per la costruzione del deposito unico di scorie nucleari. Fornirò gli argomenti sui quali si fonda questa congettura, in un prossimo articolo.

Il deposito unico di scorie nucleari

Lo annunciò Galletti, poi Calenda, ma ora il tempo è scaduto e dopo le elezioni europei si conosceranno i siti idonei. Nella prima decade di giugno la documentazione sarà sul tavolo di Costa e Di Maio. Un dossier, che aggiunge ben poco alle proposte di alcuni anni fa elaborate da Gruppo Stato-Regioni e fatte proprie da SOGIN (Società di Gestione Impianti Nucleari) riprendono gran parte del contenuto della Relazione della Commissione Bicamerale sui Rifiuti del 1999.

Consistono nella creazione di due strutture: un deposito superficiale definitivo dei rifiuti a bassa attività (elementi radioattivi che diventano non più pericolosi dopo 300 anni), e una struttura per l’immagazzinamento temporaneo dei rifiuti ad alta attività (la pericolosità cessa dopo alcune centinaia di migliaia d’anni).

Il deposito superficiale è costituito da una serie di locali in cui sono depositati i contenitori d’acciaio (una lega di nichel, cromo e molibdeno), contenenti rifiuti inglobati in matrici cementizie, dotate di particolare resistenza e durabilità.

Il deposito fonda la sua affidabilità sul sistema delle multi barriere: la prima barriera di confinamento è costituita dalla matrice di cemento e dal contenitore metallico. Ulteriori materiali sono interposti tra la prima barriera e i contenitori. Il principio che governa lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, è che, una volta condizionati (ovvero cementificati se rifiuti di seconda categoria e vetrificati se di terza), non possano venire in contatto con l’ambiente animale o vegetale (biosfera), per tutto il periodo in cui i rifiuti sono pericolosi.

Considerato che l’acqua è l’unico mezzo che può portare all’esterno i rifiuti nucleari, attraverso il trascinamento o lo «scioglimento» in essa (solubilizzazione), le barriere hanno, in pratica, la finalità di evitare che rifiuti e acqua vengano in contatto, in qualsiasi condizione, comprendendo quindi gli incidenti.

La disposizione in serie delle barriere deve comunque assicurare una linea di contenimento nel caso scompaia, o s’indebolisca, la barriera antecedente. Al termine uno spessore d’alcuni metri è frapposto tra il rifiuto radioattivo e l’esterno.

Un sistema di monitoraggio assicura la sicurezza radiologica nel senso dell’efficienza delle barriere. Un’ulteriore barriera, di riserva, è costituita dalle caratteristiche geomorfologiche e idrogeologiche del sito. Il deposito avrà una vita di circa 300 anni.

La struttura d’immagazzinamento è costituita da un edificio di 240.000 mc, con capacità iniziale pari all’attuale inventario italiano dei rifiuti di terza categoria. Un edificio in calcestruzzo, diviso in tre aree con esigenze diverse di schermaggio, confinamento e termoregolazione: area rifiuti vetrificati, area combustibile irraggiato e area rifiuti di terza categoria.

La considerazione da farsi è che nessun Paese al mondo ha costruito un deposito centralizzato e unico di confinamento geologico! Le osservazioni che facciamo riguardano diversi aspetti. Il primo è relativo alla qualificazione delle barriere. Il secondo è tenere conto, nell’identificazione dell’area, degli aspetti legati alle modificazioni che produrranno i cambiamenti climatici. Il terzo aspetto è il sistema di monitoraggio.

Non credo che generi gran fiducia constatare che la centrale di Caorso fu costruita all’interno dell’area golenale del Po. Inoltre, Scansano Ionico, un’area con un profilo geologico sicuramente adatto (uno spessore di argilla di 600 m, uno starato di salgemma di 250 m, e poi ancora 100 m di letto di argilla e ancora sale), risultò sismica e soggetta ad alluvioni.

Anni fa alcune indiscrezioni riferivano che nella lista dei territori candidati ad ospitare le scorie nucleari c’era una zona del Viterbese, della Maremma, un’area di confine tra la Puglia e la Basilicata, le colline emiliane, e alcune zone del Piacentino e del Monferrato.

Nel deposito saranno stoccate scorie, combustibile esausto, materiale radioattivo prodotto nella ricerca, nell’industria e nel settore sanitario. La stima è che, con lo smantellamento delle centrali, i rifiuti d’origine nucleare ammonteranno a 200.000 metri cubi, compresi 1400 Kg di plutonio.

L’elemento più inquietante del problema nucleare è il plutonio. Resta radioattivo per 240.000 anni! Un po’ meno del tempo trascorso tra l’Homo di Neanderthal, membro del genere homo vissuto nel pleistocene, e noi. Il plutonio scomparso dalla Terra miliardi di anni ed è ricomparso con i reattori nucleari. Il plutonio o si stocca o si distrugge. Parleremo in un prossimo articolo le soluzioni approntate in altri Stati.

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