“La crisi ucraina rallenta la transizione ecologica, ora priorità è indipendenza energetica”: l’intervista a Procaccini (Fdi)

Stefano Rizzuti

09/03/2022

09/03/2022 - 13:44

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La crisi ucraina allontana gli obiettivi sulla neutralità climatica: “La priorità è l’indipendenza energetica, diventando produttori di energia”. L’intervista a Nicola Procaccini, eurodeputato di Fdi.

“La crisi ucraina rallenta la transizione ecologica, ora priorità è indipendenza energetica”: l’intervista a Procaccini (Fdi)

La crisi energetica conseguente al conflitto in Ucraina ha fatto emergere l’importanza dell’indipendenza energetica per tutta l’Ue. Nicola Procaccini, europarlamentare di Fratelli d’Italia, spiega in un’intervista a Money.it perché la neutralità climatica non possa andare a scapito dell’indipendenza energetica.

A margine dei lavori della plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, Procaccini - responsabile del dipartimento Ambiente ed energia di Fdi - sottolinea che ora l’Italia deve diventare produttrice di energia per raggiungere l’indipendenza energetica. Al contrario il processo verso la transizione ecologica sembra andare incontro a una inevitabile ridefinizione.

Il piano presentato dalla Commissione Ue per l’indipendenza energetica è sufficiente e si può fare a meno del gas russo?
intanto è cambiato completamente il paradigma, nel senso che noi avevamo in qualche maniera previsto e preannunciato ma attirandoci gli strali di Timmermans. Mentre prima il paradigma era emettere meno Co2 nell’aria e raggiungere a tappe forzate la neutralità climatica, adesso il paradigma si è spostato sull’indipendenza energetica, che è la madre di tutte le questioni. Vuol dire che certamente resta l’obiettivo di lungo periodo di essere meno impattanti sul clima e sul pianeta, ma questo non può andare a discapito dell’indipendenza energetica che è il presupposto per l’indipendenza politica, perché ad oggi non ci sono tecnologie rinnovabili sufficientemente mature per sostituire di punto in bianco l’energia prodotta da fonti fossili e l’Italia e l’Ue si sono rifiutate di pensare di essere produttrici di energia, preferendo acquistare gas dalla Russia e legandosi mani e piedi all’approvvigionamento energetico dalla Russia.

È possibile, allo stato attuale, rinunciare alle forniture russe?
Allo stato attuale no, ma si deve farlo nel più breve tempo possibile e non rendendosi dipendenti da un altro regime come quello del Qatar o dall’Algeria, dove gli sconvolgimenti geopolitici sono ricorrenti. La soluzione è rendersi quanto più possibile produttori di energia e oggi lo si può essere in piccola parte attraverso le rinnovabili, in massima parte invece con l’estrazione di gas e questo presuppone la ricerca dei giacimenti: oggi sappiamo che ne abbiamo a sufficienza, però non basta, bisogna continuare anche a cercarne altro. Poi va anche allargato lo spettro dell’approvvigionamento di gas da altre realtà, per esempio da Israele, dalla Grecia, bisogna cercare di diversificare quanto possibile per non restare vincolati a un solo venditore che spunta le uniche armi non letali che al momento abbiamo che sono le sanzioni.

Nel breve periodo l’unica soluzione possibile è ridurre i consumi?
Ridurre i consumi si può fare, probabilmente si dovrà fare. Probabilmente però parliamo di un dato irrisorio in termini quantitativi. Nel brevissimo periodo quello che dobbiamo fare è correre nel potenziamento dei rigassificatori che abbiamo, acquisirne nuovi come quelli flottanti, aumentare l’estrazione di gas dai nostri giacimenti, aumentare la portata di alcuni gasdotti come quello della Tap, tanto demonizzata, ma se l’avessimo avuta qualche anno fa forse saremmo un po’ meno dipendenti dalla Russia oggi. L’approccio che è stato sbagliato negli anni precedenti è aver considerato la questione energetica come una questione ideologica, politica, quando in realtà è un elemento tecnico che deve essere depurato dai furori ideologici. Oggi la realtà ci ha dato questo schiaffo in faccia e ci ha costretto a fare quello che noi abbiamo detto per tanti anni restando inascoltati.

La crisi ucraina può rappresentare una svolta, in negativo, per la transizione ecologica? Potrebbe essere accantonata?
Io non credo che debba essere accantonata, credo che debba essere riletta e ridefinita secondo principi che sono quelli della realtà e la realtà è che la transizione energetica inevitabilmente deve fare i conti con la politica internazionale, con la maturazione delle tecnologie, con l’approvvigionamento delle materie prime: è un approccio che nel lungo periodo è giusto che punti alla neutralità climatica, ma oggi sappiamo che la priorità è l’indipendenza energetica.

Quindi siamo di fronte a un rallentamento di questo processo?
Immagino proprio di sì.

Caro carburanti, negli ultimi giorni è arrivata la protesta dei pescherecci: cosa deve fare il governo per aiutare questi settori?
Nell’immediato ogni categoria ha problematiche specifiche che vanno anche al di là del semplice costo del gasolio. Faccio l’esempio della pesca, che ha sì un problema enorme legato ai prezzi del gasolio, ma ha anche un problema enorme legato a tutti gli ostacoli burocratici che l’hanno appesantita. Mi riferisco per esempio anche agli aspetti fiscali: i pescherecci godevano di sgravi contributivi fino all’80% fino a pochi anni fa e sono stati completamente cancellati. Oppure c’è la questione del fermo biologico, che arriva proprio da Bruxelles: si possono combinare gli aspetti della biodiversità e quello produttivo. Come? Non fissando dei mesi e dei giorni in cui non si può andare a pesca, ma lasciando ai pescatori la possibilità di scegliere i giorni nei quali non andare a pesca, perché il meteo condiziona in maniera determinante la pesca. Se potessero scegliere i giorni in cui restare in banchina si concilierebbe il ripopolamento ittico, che è importante, con la salvaguardia di un’economia storica fondamentale per la nostra nazione e per l’Europa in generale.

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