Crisi demografica, 3 milioni di lavoratori in meno: ecco in quali Regioni si rischia di più

Luna Luciano

4 Maggio 2025 - 10:40

Una crisi demografica riduce la forza lavoro di 3 milioni di persone in 10 anni. Ecco le regioni italiane dove l’impatto sull’occupazione sarà più grave.

Crisi demografica, 3 milioni di lavoratori in meno: ecco in quali Regioni si rischia di più

L’Italia perderà quasi 3 milioni di persone (e lavoratori) in dieci anni. Dopo il 1° maggio si torna a parlare dei futuri problemi lavorativi in Italia: è questo il risultato di una politica che non prende in considerazione le esigenze dei giovani e dei lavoratori.

Secondo uno studio della CGIA di Mestre, entro il 2035 la fascia di popolazione italiana in età lavorativa (15-64 anni) calerà di quasi 3 milioni di unità, passando dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni. È una riduzione pari al 7,8%, che mette a serio rischio la stabilità del mercato del lavoro, soprattutto per le piccole imprese.

Il rapporto sottolinea un pericolo concreto: molte aziende saranno costrette a ridurre il personale non per motivi economici, ma per semplice mancanza di manodopera disponibile. L’Italia, insomma, rischia di “licenziare” milioni di potenziali lavoratori, non per scelta, ma per assenza.

Questa dinamica si inserisce in un quadro più ampio di declino demografico, emigrazione giovanile, carenza di politiche attive sul lavoro e difficoltà nel ricambio generazionale. Il risultato? Un sistema produttivo che si svuota alla base, con effetti a catena sull’economia nazionale. E non tutte le regioni saranno colpite allo stesso modo.

L’Italia perderà 3 milioni di lavoratori in dieci anni: ecco perché

Il drastico calo dei lavoratori in Italia non è frutto del caso, ma il risultato di un insieme di fattori che si sono sedimentati nel tempo. Il primo e principale è il crollo demografico: da anni il tasso di natalità è in costante diminuzione, con sempre meno giovani pronti a entrare nel mondo del lavoro. Secondo i dati della CGIA, entro il 2035 verranno a mancare quasi 3 milioni di persone nella fascia d’età attiva (15-64 anni), che rappresenta la colonna portante della forza lavoro.

A questa tendenza si aggiunge l’invecchiamento della popolazione: l’Italia è uno dei Paesi con la media anagrafica più alta d’Europa, e ciò comporta un naturale uscita dal mercato del lavoro senza un adeguato ricambio. Inoltre, la fuga dei giovani all’estero, spesso laureati e qualificati, impoverisce ulteriormente il tessuto lavorativo nazionale.

La cosiddetta fuga di cervelli non è altro che effetto della completa inesistenza di politiche giovanili. Se in tv si continua a ripetere ingiustamente e impropriamente che “i giovani che non hanno voglia di lavorare”, la realtà è ben diversa: i giovani italiani, sempre più qualificati, non sono disposti a lavorare con stipendi “da fame”, per cui preferiscono migrare all’estero, dove le loro competenze sono stimate, apprezzate e soprattutto pagate.

Le politiche attive sul lavoro sono risultate, finora, frammentate e inefficaci, senza un piano strutturale per rendere l’Italia attrattiva per i giovani e per gli investimenti. In questo scenario, le piccole imprese – che costituiscono la maggior parte del tessuto produttivo italiano – rischiano di trovarsi senza possibilità di sostituire i lavoratori che vanno in pensione, vedendosi costrette a ridurre gli organici per mancanza di personale disponibile, non per calo della domanda. Una crisi occupazionale silenziosa, che colpisce alle radici la produttività futura del Paese.

Quali saranno le regioni più colpite?

La crisi demografica e occupazionale non colpirà tutte le aree d’Italia nello stesso modo. Il rapporto della CGIA evidenzia infatti una forte disparità territoriale, con il Mezzogiorno destinato a subire l’impatto più pesante. Su 3 milioni di lavoratori in meno, la metà della perdita si concentrerà nelle regioni del Sud, i casi più critici saranno quelli di:

  • Sardegna, che vedrà diminuire del -15,1% la popolazione in età lavorativa, pari a quasi 150mila persone (esattamente 147.697);
  • Basilicata che vedrà diminuire la popolazione del -14,8%, pari a quasi 50mila persone (esattamente 49.685);
  • Puglia che vedrà la popolazione ridotta del -12,7% pari a 312mila persone;
  • Calabria che vedrà la popolazione del -12,1% pari a circa 139mila persone;
  • Molise che vedrà la popolazione del -11,9% pari a 31mila persone;
  • Campania che vedrà la popolazione del -11,8% pari a 430mila persone.

Queste regioni, già segnate da storiche difficoltà occupazionali, rischiano di entrare in un ciclo di spopolamento e desertificazione economica. Al contrario, il Nord Italia mostra una maggiore tenuta. Il Trentino-Alto Adige, ad esempio, perderà solo il 3,1% della sua forza lavoro, mentre la Lombardia e l’Emilia-Romagna registreranno cali inferiori al 3%.

A livello provinciale, le aree più colpite saranno Nuoro (-17,9%), Caltanissetta (-17,6%) ed Enna (-17,5%). In termini assoluti, il primato negativo spetta a Napoli, che perderà oltre 236.000 persone in età lavorativa. Dall’altro lato, province come Parma (-0,6%), Prato (-1,1%) e Bologna (-1,4%) sembrano quasi immuni alla contrazione.

Questi numeri mostrano con chiarezza che la crisi futura del lavoro sarà geograficamente selettiva, colpendo soprattutto le aree già fragili. È proprio lì che servono politiche urgenti e mirate, ma dal Governo tutto tace.

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