Coca-Cola 6 anni fa ha acquisito una famosa catena di caffè, ma la strategia è stata un flop. L’azienda è in crisi operativa e finanziaria, con valutazioni e vendite potenziali in calo.
Chiunque abbiamo passeggiato in suolo britannico negli ultimi decenni sarà quantomeno passato davanti a una delle migliaia di caffetterie Costa Coffee.
Nel gennaio 2019, Coca-Cola aveva battuto tutti, comprese le società di private equity come Bain e TDR Capital, acquisendo la famosa catena di caffè britannica per 3,9 miliardi di sterline. Ma l’accordo non ha soddisfatto le aspettative.
Il gigante internazionale delle bevande sta negoziando con diversi potenziali acquirenti per la famosa catena di caffè britannica. Al momento alla catena che gestisce oltre 2.000 punti vendita nel Regno Unito e un totale di 4.000 in tutto il mondo sembrano interessati due grandi fondi di gestione patrimoniale - Apollo Global Management e Bain Capital.
Il CEO di Coca-Cola, James Quincey, ha dichiarato il mese scorso che Costa «non ha prodotto ciò che volevamo» e che «non è dove volevamo che fosse dal punto di vista degli investimenti». L’esito di questo investimento preannuncia una perdita significativa sia in termini finanziari che di immagine.
La crisi di Costa Coffee
L’acquisizione di Costa Coffee avrebbe dovuto segnare l’ingresso epocale di Coca-Cola nel settore globale delle bevande calde, un’area mancante nel suo vasto portafoglio. Il problema è che Coca-Cola non ha mai compreso appieno il mercato in cui stava entrando.
La strategia è fallita quasi subito. Gli analisti del settore ritengono che Coca-Cola abbia pagato troppo per la catena di caffè inglese, che già prima dell’accordo stava vivendo un rallentamento nella sua crescita e doveva affrontare la forte concorrenza dell’americana Starbucks, della britannica Pret A Manger e di una miriade di caffetterie boutique molto apprezzate dai consumatori più giovani.
Una cosa sembra sempre più chiara: Coca-Cola ha sottovalutato quanto il business delle caffetterie fosse impegnativo dal punto di vista operativo e del capitale rispetto al tradizionale modello che porta avanti da decenni.
Il COVID-19 non ha fatto altro che amplificare queste debolezze. Da lì un numero sempre maggiore di negozi chiusi, l’aumento degli affitti e un mutamento delle preferenze dei consumatori, che hanno iniziato a preferire un consumo domestico, anche per risparmiare.
Le sue rivali sono state in grado di riprendersi grazie all’apporto dei servizi digitali e a un riposizionamento premium, ma Costa è rimasta indietro in termini di innovazione ed espansione internazionale.
L’unico barlume di genialità – i distributori automatici Costa Express, che si integrano bene nella rete distributiva di Coca-Cola – non è stato sufficiente a compensare una discesa già iniziata.
Nel 2023, il fatturato della catena è stato di 1,2 miliardi di sterline, con una perdita ante imposte di 9,6 milioni di sterline.
Il buco nell’acqua di Coca-Cola
Il settore del caffè è fondamentalmente diverso dal core business delle bevande di Coca-Cola. Catene di caffè come Costa si basano su un’eccellenza operativa e un delicato equilibrio tra gestione degli affitti, turnover del personale, logistica del cibo fresco e servizio clienti.
Coca-Cola, dal canto suo, prospera da oltre un secolo attraverso un modello a basso impatto patrimoniale. Il suo focus è sulla produzione di concentrati per bevande, sulla costruzione di un valore di brand globale e sulla partnership con produttori e distributori che si fanno carico degli investimenti in capitale, della manodopera e della logistica.
Ma i trend legati al consumo di caffè e tè stanno cambiando, soprattutto tra le giovani generazioni. A causa dell’aumento dei prezzi del caffè e delle pressioni generali sul costo della vita, catene come Costa si trovano in una situazione difficile.
La mania del matcha, che ha conquistato tutti i Paesi sviluppati, sta esaurendo le scorte di tè giapponese dal colore verde brillante e la domanda sta facendo salire i prezzi. I rivali di Costa sono subito saliti sul treno, con Starbucks, Pret e Nero che offrono latte al matcha freddi. Costa no.
Ma non solo. Anche l’ascesa di piccole catene e caffetterie artigianali indipendenti ha intaccato la quota di mercato delle grandi catene. I giovani prestano sempre più attenzione a dove si siedono e spendono i loro soldi, spesso evitando le grandi catene di caffè a favore di attività più piccole, anche per motivi di gusto.
Costa Coffee in vendita?
Coca-Cola sta ora collaborando con la banca d’investimento Lazard per valutare le opzioni disponibili per sbarazzarsi della catena di caffè, inclusa una vendita. Un analista ha dichiarato a Sky News il mese scorso che l’attuale vendita potrebbe fruttare circa 2 miliardi di sterline, circa la metà del prezzo pagato da Coca-Cola solo sei anni fa.
La potenziale vendita si colloca in un contesto, quello attuale, caratterizzato da aziende di beni di consumo impegnate a rivalutare e semplificare i propri portafogli, abbandonando strutture tentacolari e diversificate per passare a modelli più snelli, centrati sui punti di forza principali e sulle aree di crescita con margini più elevati.
L’ultimo esempio simile si è verificato negli Stati Uniti, con il fallimento del progetto della mega-azienda Kraft Heinz, che ha deciso di tornare a costituire due entità separate.
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