Questo cittadino nigeriano voleva disperatamente tornare in patria. Così è riuscito a “fregare” lo Stato italiano per farsi pagare il viaggio di ritorno.
L’espulsione degli stranieri irregolari non funziona sempre al meglio e di norma gli interessati non sono particolarmente collaborativi. Tuttavia, un recente caso di Varese è l’eccezione che conferma la regola.
Nel dettaglio, uno straniero ha fatto in modo di essere condannato per rientrare in Nigeria a spese dello Stato italiano, di fatto approfittando di un sistema pensato per fini del tutto differenti. Una storia paradossale, che riflette una parte spesso dimenticata nelle storie di immigrazione, quando l’arrivo a destinazione non è affatto sufficiente a superare stenti e difficoltà.
L’episodio, che ha suscitato grande scalpore, evidenzia le criticità nell’attuale sistema di gestione dei traffici irregolari, ma anche un’efficienza che sembrava rimanere soltanto sulla carta. L’uomo è stato infatti rapidamente rimpatriato, operazione che in altri casi sembra complicatissima. Ma a questo c’è un motivo ben preciso, non ottimistico come si potrebbe sperare.
Così uno straniero ha fregato l’Italia per tornare a casa
Il protagonista di questa vicenda curiosa è un uomo cittadino nigeriano di 36 anni che si trovava in Italia, precisamente a Varese, con un permesso di soggiorno temporaneo. Pur essendo arrivato nel territorio italiano irregolarmente l’uomo aveva infatti ottenuto il permesso temporaneo e anche lavorato come operaio per qualche mese, arrivando a percepire l’indennità di disoccupazione al termine dell’impiego.
Nonostante ciò, l’uomo ha raccontato in tribunale di non avere i mezzi necessari a vivere e farsi carico del viaggio di ritorno, avendo appunto deciso di rimpatriare.
Gran parte dei soldi percepiti, infatti, venivano subito inviati alla famiglia rimasta in Nigeria, presumibilmente in condizioni di disagio. Così, l’uomo ha pensato di ottenere il rimpatrio forzato, un’eventualità che la generalità dei migranti cerca di evitare a tutti i costi, anche perché comporta il divieto di rientro nel Paese. Già nel mese di marzo l’uomo aveva provato a mettere in atto un piano simile, ma senza successo. Dopo aver causato disturbo su un treno era stato arrestato, ma non aveva ottenuto l’espulsione tanto desiderata.
Così, ha cambiato strategia, sedendosi fuori dalla stazione a fumare hashish.
Com’era prevedibile che accadesse gli agenti della polizia ferroviaria lo hanno fermato e perquisito, sequestrando circa un etto e mezzo di hashish. In tribunale l’uomo ha chiaramente confessato le proprie intenzioni, venendo comunque condannato a 6 mesi di reclusione.
Una pena che è stata commutata nell’espulsione immediata, con divieto di rientro in Italia, come previsto dal Testo unico sull’immigrazione. Una storia che fa storcere il naso alla cittadinanza, visto che il volo di rimpatrio è a carico dello Stato italiano, fregato dai suoi stessi sistemi di sicurezza. Tuttavia, la legge è stata applicata correttamente e, per assurdo che sembri, molto più precisamente di quanto non accada in altre situazioni analoghe.
Come funziona l’espulsione dei migranti
Il rimpatrio a seguito di un’espulsione forzata è a carico dello Stato italiano, parzialmente recuperato grazie al sostegno dell’Unione europea. Nonostante ciò, resta un’operazione dispendiosa, anche in termini di risorse e tempistiche, ma non è questo che frena le espulsioni. Per questo caso specifico, il rimpatrio non dipende tanto dalla regolamentazione dell’immigrazione, bensì dal sovraffollamento carcerario.
L’espulsione è infatti una misura alternativa alla detenzione quando la pena, eventualmente residua, non supera i 2 anni. Il cittadino straniero deve essere entrato nel Paese irregolarmente, non avere un permesso di soggiorno (oppure averne subito la revoca a causa del reato commesso), ma anche essere identificabile e non godere di asilo o altre forme di protezione. Proprio il fatto che il cittadino nigeriano si fosse “messo in regola” con un permesso di soggiorno temporaneo ha permesso di emanare il decreto di espulsione, insieme alla sua collaborazione.
L’impugnazione della sentenza, per esempio, avrebbe comportato ulteriori perdite di tempo, come pure i controlli da effettuare che lo avrebbero fatto condurre in un Cpr per diverso tempo. Per quanto spinta da motivazioni personali, rientrare in Nigeria dalla propria famiglia, la disponibilità dell’uomo ha invece permesso di ottenere un accordo di espulsione da effettuarsi in soli 15 giorni.
C’è da vedere se effettivamente queste tempistiche saranno rispettate, ma sembrano esserci buoni spiragli, anche perché nel frattempo le condizioni dei Cpr non sono delle migliori. Resta comunque l’ennesima storia di disperazione legata all’immigrazione irregolare, un ulteriore promemoria alla comunità internazionale affinché vengano adottate soluzioni più efficaci.
© RIPRODUZIONE RISERVATA