Un influencer dimentica l’hashtag #adv. L’AGCM irroga una sanzione pesantissima. Ecco cosa rischia chi non dichiara i contenuti sponsorizzati.
La pubblicità occulta è una forma di persuasione commerciale e può trasformare un contenuto in un illecito. Vediamo cosa dice la legge.
Il significato di pubblicità occulta
Con l’espressione pubblicità occulta si intende:
“una forma di comunicazione commerciale in cui il messaggio promozionale viene veicolato senza che il destinatario sia consapevole della sua natura pubblicitaria.”
Non si tratta di un modo più sottile di fare marketing: è una modalità che, quando supera certi limiti, può essere una violazione della normativa vigente in materia di trasparenza nella comunicazione economica.
L’art. 2, co. 1, lettera a) D. lgs. n. 145 del 2007, che disciplina la pubblicità tra imprese, stabilisce che:
“E’ ingannevole ogni forma di comunicazione che, pur presentandosi sotto apparenze neutre o informative, induca in errore il destinatario circa la natura promozionale del messaggio.”
A ciò si aggiunge il dettato dell’art. 21 del Codice del Consumo - D.lgs. n. 206/2005, che vieta le pratiche commerciali sleali, tra cui rientra, appunto, la pubblicità mascherata da contenuto editoriale.
Pertanto, il significato giuridico di pubblicità occulta, ruota attorno alla mancata percezione dell’intento persuasivo. Quando il contenuto pubblicitario non è chiaramente identificabile come tale, si altera il patto di trasparenza tra comunicatore e consumatore.
La differenza tra pubblicità occulta e pubblicità ingannevole
La pubblicità ingannevole art. 21 Cod. Cons., si configura se:
“L’informazione veicolata è falsa o, pur essendo formalmente corretta, è idonea a trarre in inganno il consumatore medio.”
In pratica, si tratta di una comunicazione che deforma la realtà, inducendo una percezione errata del prodotto o del servizio. L’obiettivo è manipolare la scelta economica del destinatario, alterando elementi essenziali come il prezzo, le caratteristiche o i vantaggi di quanto offerto.
Diverso è il caso della pubblicità occulta, che invece non altera i fatti ma nasconde l’intento persuasivo.
“Non c’è menzogna nel contenuto, ma mancanza di trasparenza nel dichiarare che quel contenuto ha finalità promozionali.”
In questo senso, la pubblicità occulta è spesso più insidiosa, perché agisce sul piano della percezione. Per questo motivo, se ci si chiede se la pubblicità occulta è anche ingannevole, la risposta giuridicamente corretta è: non necessariamente. L’inganno, nella pubblicità occulta, sta nell’occultamento della natura stessa del messaggio, non nella falsità del suo contenuto.
Pubblicità occulta: quando è reato?
La pubblicità occulta può configurare un illecito amministrativo o, in casi estremi, un reato.
Sul piano civile e amministrativo, la pubblicità è considerata illecita quando è idonea a falsare in modo significativo il comportamento economico del destinatario, soprattutto se il messaggio promozionale è celato all’interno di contenuti che appaiono autonomi o neutrali artt. 21, 23, 27 Cod. Cons. - D.lgs n. 147/2007. È in questi casi che la pubblicità occulta può determinare l’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che ha il potere di accertare e sanzionare le pratiche commerciali scorrette.
Proprio l’AGCM ha affermato che l’occultamento della finalità pubblicitaria, costituisce una violazione del principio di trasparenza nella comunicazione commerciale. Ad esempio, in un post su Instagram privo di hashtag identificativi come #adv o #sponsorizzato.
C’è anche un profilo penalistico, meno frequente ma non irrilevante. L’art. 661 c.p. prevede la sanzione per:
“Chiunque, pubblicamente, abusando della credulità popolare, procura un profitto a sé o ad altri.”
Sebbene questa norma venga applicata con estrema cautela, è teoricamente invocabile anche nel caso in cui la pubblicità occulta assuma connotazioni tali da ledere gravemente la libertà di autodeterminazione del destinatario, soprattutto se il contenuto mascherato assume carattere ingannevole e approfitta di soggetti vulnerabili.
Infine, a livello settoriale, sono i regolamenti dell’AGCOM a dettare regole ad hoc per i mezzi audiovisivi, compresi TV, radio, piattaforme digitali. La violazione di tali obblighi comporta sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, la sospensione della trasmissione del contenuto o l’oscuramento.
Rischi e sanzioni per chi fa pubblicità occulta
L’AGCM competente per le pratiche commerciali scorrette, può irrogare sanzioni pecuniarie fino a 5 milioni di euro in caso di violazioni gravi o reiterate dell’art. 21 Cod. Cons. Ciò rileva per le aziende che, anche attraverso terzi come testimonial o influencer, promuovano prodotti o servizi senza dichiarare la natura pubblicitaria del contenuto. Quando la pubblicità occulta coinvolge un rapporto tra imprese, si applica invece il D. lgs. n. 145/2007, che prevede sanzioni fino a 500.000 euro, irrogate sempre dall’AGCM.
L’autorità può anche disporre la rimozione del contenuto illecito dalle piattaforme digitali, ordinare la cessazione della pratica commerciale e, nei casi più gravi, richiedere l’inibizione di profili social, la sospensione dell’attività promozionale o addirittura la revoca di autorizzazioni amministrative nei settori regolati. Questo accade, ad esempio, quando i contenuti in violazione sono diffusi su canali televisivi o radiofonici soggetti alla vigilanza dell’AGCOM, che può agire in parallelo, con poteri propri di monitoraggio e sanzione.
Sentenze e casi recenti: cosa dicono AGCM, TAR e Cassazione
Uno dei casi più noti riguarda l’imprenditrice Chiara Ferragni nel 2023, sanzionata dall’AGCM per avere promosso prodotti senza una chiara disclosure pubblicitaria, pur mantenendo un evidente rapporto economico con il marchio. Il provvedimento ha sottolineato come anche l’uso di formule ambigue, in assenza di hashtag identificativi o avvisi espliciti, sia idoneo a configurare una pratica commerciale scorretta. Il caso Ferragni ha avuto ampio rilievo mediatico, ma ha anche stabilito un precedente rilevante per la regolamentazione delle attività promozionali sui social.
Nel 2024, l’AGCM è intervenuta nuovamente con una sanzione collettiva che ha coinvolto un gruppo di influencer attivi su Instagram, per aver pubblicato contenuti promozionali per marchi di abbigliamento e cosmetici senza utilizzare alcun segno distintivo come #adv o #sponsorizzato. L’Autorità ha accertato l’esistenza di accordi economici sottostanti e ha ribadito che l’assenza di trasparenza nella comunicazione costituisce, di per sé, una violazione grave dell’obbligo informativo verso i consumatori.
Anche la giustizia amministrativa ha avuto occasione di esprimersi. Nel 2022 il TAR Lazio ha confermato un provvedimento dell’AGCOM contro un’emittente televisiva per aver trasmesso contenuti di product placement camuffati da rubriche di approfondimento, senza alcuna segnalazione. Il giudice amministrativo ha chiarito che la violazione dei regolamenti AGCOM in materia di trasparenza danneggia il diritto dello spettatore a distinguere tra informazione e promozione.
Infine, la Corte di Cassazione pur escludendo la rilevanza penale in assenza di un concreto pericolo di offesa per l’ordine pubblico, ma ha riconosciuto la sussistenza di condotte civilmente rilevanti ogniqualvolta venga occultato l’intento commerciale, specialmente in settori sensibili come la salute o l’alimentazione (Cass. sent. n. 11020/2018).
Hashtag obbligatori per gli influencer: come segnalare una sponsorizzazione
Chi crea contenuti promozionali per conto di brand, in particolare gli influencer, deve rispettare precise indicazioni dettate dall’AGCM, dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e dai regolamenti delle piattaforme, per garantire trasparenza e correttezza verso il pubblico.
Le linee guida dell’AGCM, aggiornate anche alla luce di recenti provvedimenti sanzionatori, impongono agli influencer di rendere immediatamente riconoscibile la natura pubblicitaria di un contenuto.
“L’uso dell’hashtag #adv (abbreviazione di “advertising”) è considerato lo strumento minimo e indispensabile per soddisfare tale requisito. Questo hashtag deve essere posizionato con chiarezza all’inizio del post, della descrizione o del contenuto stesso, affinché sia visibile al consumatore fin dal primo contatto.”
Non è sufficiente, quindi, nascondere la disclosure in mezzo ad altri hashtag o alla fine del testo. Oltre a #adv, è fortemente consigliato anche l’uso dell’hashtag #pubblicità, soprattutto nei casi in cui l’audience sia meno abituata alle abbreviazioni anglosassoni. Alcuni brand e agenzie suggeriscono inoltre l’utilizzo combinato di altri elementi di trasparenza, come il tag diretto del profilo aziendale coinvolto o un disclaimer iniziale come “In collaborazione con [nome brand]” .
Tra le best practice indicate dall’IAP, spicca proprio l’obbligo di disclosure all’inizio del contenuto, e non in una fase successiva della fruizione. Questo principio vale a maggior ragione per formati a scorrimento rapido, come le storie di Instagram o i reel, dove l’attenzione dell’utente è limitata a pochi secondi. Lo stesso vale per i podcast e i contenuti audio: anche in assenza di immagini, il messaggio promozionale deve essere dichiarato apertamente, con formule verbali come “questa puntata è sponsorizzata da...” .
Il caso del product placement
Il product placement è una tecnica pubblicitaria diffusa nel cinema, TV e nei contenuti digitali.
“Consiste nell’inserimento di un marchio, un prodotto o un servizio all’interno di un contenuto narrativo, senza che vi sia un’interruzione esplicita del flusso editoriale.”
Proprio per questa sua natura «immersiva», il product placement è uno degli strumenti più esposti al rischio di pubblicità occulta.
La base normativa è il Codice dei media audiovisivi (D.lgs. n. 208 del 2021 – Direttiva UE 2018/1808):
“Il product placement è ammesso, ma solo a condizione che venga esplicitamente segnalato. In particolare, è obbligatoria la presenza di una dicitura all’inizio e alla fine del programma che informi chiaramente lo spettatore della presenza di messaggi promozionali.”
È inoltre vietato nei programmi per bambini e nei contenuti informativi, dove potrebbe fuorviare il pubblico in modo più marcato.
Le sanzioni previste per la violazione delle regole sul product placement variano a seconda del mezzo utilizzato. Per la televisione e i contenuti on demand, l’AGCOM può irrogare multe fino a 250.000 euro, oltre a ordinare la rimozione del contenuto o la sua riformulazione. In ambito social e digital, le responsabilità possono ricadere anche sul creator e sull’azienda promotrice, con conseguenze cumulative.
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