Cos’è lo straining in ufficio e quali sono i segnali per riconoscerlo

Claudio Garau

10/11/2022

10/11/2022 - 13:52

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Lo straining sussiste laddove il datore di lavoro sottoponga il dipendente a condizioni lavorative fonte di eccessivo stress, ledendone i diritti fondamentali. Una breve guida pratica per tutelarsi.

Cos’è lo straining in ufficio e quali sono i segnali per riconoscerlo

Lealtà e rispetto reciproco dovrebbero sempre caratterizzare i rapporti di lavoro, specialmente tra colleghi che condividono gli stessi spazi e che, giornalmente, sono chiamati a collaborare per svolgere le rispettive mansioni e per contribuire al profitto aziendale. Ebbene, se tutti - o quasi - avranno già sentito parlare del mobbing, e degli effetti negativi che può produrre sulla vittima, forse non tutti sanno che esiste un fenomeno non così diverso, ma che comunque deve essere visto e considerato autonomamente - e contro il quale ci si può tutelare.

Il riferimento va al cosiddetto straining, ovvero una dinamica relazionale che certamente non giova a chi ne è vittima, ed anzi si può affermare che proprio lo straining sia in grado - potenzialmente - di produrre danni anche maggiori del mobbing stesso. Perciò che cos’è esattamente lo straining? Quando si manifesta? Come tutelarsi? Come distinguerlo dal mobbing? A queste domande risponderemo di seguito, nel corso di questo articolo, in cui intendiamo offrire una breve guida pratica su questo fenomeno che, pur riprovevole, è anch’esso parte di alcuni contesti lavorativi. I dettagli.

Straining: di che si tratta in breve

Vediamo dunque in che cosa consiste il biasimevole comportamento denominato ’straining’. Quest’ultimo si concretizza in un’azione molto lesiva della dignità del lavoratore, tanto da metterne a rischio la salute psicofisica e costituirne una vera e propria minaccia.

Dall’inglese ’to strain’ ovvero forzare o affaticare, lo straining rappresenta una situazione di stress che la vittima può patire in un ambiente lavorativo, perché di fatto condotta a questo dalla condotta del datore di lavoro. Il dipendente è dunque vittima di un comportamento ostile, che può provocargli una condizione di disagio costante nel tempo. Ma - come vedremo tra poco - proprio come contro il mobbing, anche contro lo straining, ci si può tutelare.

Nessun dubbio a riguardo: i gesti che integrano lo straining si concretizzano in un atteggiamento vessatorio, attuato dal capo con una ben precisa volontà, ovvero quella di umiliare il dipendente che ne è vittima.

Straining: alcuni esempi pratici

Probabilmente ti starai chiedendo quando - in pratica - ricorre lo straining, ovvero in quali situazioni concrete se ne può parlare. Ebbene, sappi che - propri come per il mobbing - elencare tutta la casistica è di fatto impossibile. Possiamo però farti alcuni esempi che, certamente, ti aiutano a capire quando il detto fenomeno ricorre e se ti trovi in una situazione che lo integra.

Ebbene, un esempio tipico di straining è il demansionamento, ovvero quel contesto in cui il lavoratore viene discriminato rispetto agli altri colleghi, e leso nella sua dignità, perché obbligato dal datore a compiere mansioni inferiori e degradanti, rispetto al proprio livello di preparazione professionale e alla propria esperienza. Un altro esempio di straining potrebbe essere quello in cui il dipendente che ne è vittima viene, di fatto, ’sommerso’ dal lavoro: pensiamo a colui al quale viene ordinato di occuparsi di un volume insostenibile di pratiche, o comunque di svolgere mansioni spettanti ad altri colleghi.

Chiaro che in casi come questi gestire tutti i compiti e gli obiettivi si rivelerebbe impossibile, ed anzi una situazione così sarebbe certo foriera di stress psicofisico e, perciò, di un danno alla salute del lavoratore.

Ma lo straining ricorre anche quando il lavoratore preso di mira viene privato degli strumenti essenziali allo svolgimento del proprio lavoro, e portato così ad una situazione di inattività forzata. Pensiamo dunque a chi non può utilizzare gli attrezzi da lavoro o la strumentazione informatica, non riuscendo così a svolgere le mansioni di cui al contratto. E ciò per una ben precisa scelta del datore di lavoro, mirata a mortificare il dipendente e, magari, indurlo alle dimissioni.

Altri casi di straining possono essere l’abuso del trasferimento del lavoratore, o anche delle trasferte e del distacco, la privazione di incarichi o compiti di responsabilità sebbene la vittima stia avendo un ruolo di responsabilità e l’isolamento dal un qualsiasi percorso formativo all’interno del luogo di lavoro.

La tutela civilistica e il risarcimento danni

Come non esiste, nelle leggi vigenti, una disciplina che indichi il reato di mobbing, anche per quanto riguarda lo straining al momento in Italia non vi sono norme ad hoc che lo riconoscano, in via espressa, come illecito.

Attenzione però: proprio come per il mobbing, ciò non vuol dire che il lavoratore non possa tutelarsi contro un comportamento vessatorio di questo tipo. Infatti, i giuristi sanno bene che lo straining rappresenta un fenomeno ricollegabile a quanto previsto dall’art. 2087 del Codice Civile in tema di tutela delle condizioni di lavoro. Non solo, proteggersi contro lo straining è possibile anche grazie a quanto previsto dal d. lgs. n. 81 del 2008, che tratta di sicurezza sui luoghi di lavoro e impone specifici obblighi in capo al datore. Anzi il lavoratore potrà chiedere il risarcimento danni in sede civile, provando la violazione delle norme di cui Codice Civile e al decreto citato.

Queste regole infatti stabiliscono e tutelano l’integrità fisica e morale del lavoratore. Insomma, quanto basta a far valere le proprie ragioni, se ci si trova vittima di straining. Ed anzi, proprio perché ha luogo con una sola condotta vessatoria, lo straining può essere più facile da provare rispetto al mobbing, il quale è caratterizzato da più atti commessi nel corso del tempo.

Le prove dello straining

Vero è che per vedersi riconosciuto in tribunale il diritto al risarcimento del danno morale e alla salute, il lavoratore vittima di questo comportamento lesivo dovrà individuare ed esibire prove chiare dell’abuso patito. Perciò faranno sicuramente la differenza e consentiranno di ottenere giustizia, la raccolta di testimonianze attendibili da parte di colleghi, clienti o fornitori o di documenti aziendali che attestino il trattamento lesivo ricevuto. Non solo: anche file audio che includano dialoghi atti a dimostrare un caso di straining, potranno essere usati per vedersi riconosciuto un risarcimento.

Oltre alle prove della condotta lesiva, rilevano anche quelle del danno in sé patito a causa dello straining. Ci riferiamo alla lesione a livello psicofisico, la quale può essere utilmente dimostrata tramite perizie mediche o consulenze psicologiche, le quali possono acclarare - con documenti scritti prodotti da specialisti - che effettivamente il lavoratore si è trovato vittima di una situazione di stress e danno alla salute, indotta dall’esterno.

Straining e mobbing: qual è la differenza?

Sopra abbiamo ricordato che pur essendo entrambi termini di origine anglosassone, mobbing e straining non debbono intendersi come sinonimi. Infatti:

  • lo straining può essere rappresentato anche soltanto in caso di un solo unico atto lesivo, che però - per le sue caratteristiche - è in grado di originare gravi danni psicofisici alla vittima che lo subisce;
  • il mobbing, invece, per sua natura si caratterizza esclusivamente da una serie di atti persecutori, ripetuti nel tempo secondo un ben preciso disegno.

Se è vero che solitamente si parla di mobbing, e molto meno di straining, non bisogna però affatto sottovalutare le conseguenze anche di questo secondo fenomeno. Secondo i giuristi, lo straining integrerebbe un mobbing più lieve, in cui ricorre comunque l’azione vessatoria ma senza il fattore della continuità. In altre parole, il lavoratore può accusare di straining il datore di lavoro quando non si hanno le prove del mobbing.

Ma attenzione perché non è sempre esattamente così. Infatti talvolta il singolo fatto è semplicemente così lesivo da produrre conseguenze ancor peggiori del mobbing, integrandosi in un solo episodio ma di gravità tale da non concedere al lavoratore la possibilità di opporre resistenza. Insomma, basta anche un solo maltrattamento o una sola condotta mortificatrice per dare spazio ad una possibile causa per straining.

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