Coronavirus, ora si diffonde più velocemente. Lo studio

Marco Ciotola

03/07/2020

17/07/2020 - 11:37

condividi

Uno studio conferma che quella che sta girando è una nuova forma di coronavirus che si diffonde più velocemente

Coronavirus, ora si diffonde più velocemente. Lo studio

Il coronavirus ora si diffonde più velocemente. Un nuovo studio effettuato su scala globale ha mostrato “prove evidenti” dell’esistenza di una nuova forma di COVID-19, prevalente in questo momento, che si è diffusa dall’Europa agli Stati Uniti.

Una mutazione che - rileva il team internazionale di ricercatori - accelera il contagio da persona a persona, anche se non sembra aggravare la malattia rispetto alle precedenti varianti.

Erica Ollman, dell’Istituto di immunologia di La Jolla e tra gli esperti a capo dello studio, ha spiegato alla CNN che è ora questa la “forma dominante che infetta le persone”:

“Di fatto il virus ora è questo. Sappiamo che in un certo senso è più in forma nella sua capacità di propagazione. Ma per quanto riguarda la malattia, a prima vista non sembra essere peggiorata”.

Il coronavirus ora si diffonde più velocemente

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell, e si basa su alcuni lavori precedenti svolti dal team e diffusi al pubblico solo da poco.

I dati relativi alle sequenze genetiche indicano la mutazione del virus. Una conclusione che è arrivata al termine di una lunghissima serie di esperimenti su persone, animali e organismi cellulari, e mostra come la versione mutata sia ora la più comune e anche molto più contagiosa rispetto alle altre versioni.

Colpisce la cosiddetta proteina spike, ovvero la struttura utilizzata dal virus per inserirsi nelle cellule da infettare. Un elemento che potrebbe influire in maniera notevole anche in ottica vaccino. Quelli ora in corso di sperimentazione sono infatti realizzati lavorando sulla base di ceppi del virus più vecchi.

I ricercatori chiamano questa nuova forma di virus G614, e dati piuttosto ampi mostrano che ha quasi completamente sostituito la prima versione diffusasi in Europa e negli Stati Uniti, chiamata D614.

Fino al primo marzo del 2020 la nuova variante era rara al di fuori dell’Europa, mentre alla fine di marzo la sua frequenza era aumentata in tutto il mondo.

Più contagioso ma non più letale

E gli effetti sui pazienti? Variano anche quelli? No secondo quanto evidenziato dai ricercatori. Questi ultimi notano infatti che mentre è molto alta la probabilità che il virus sia più contagioso, non sembra esserci nessun cambiamento per quanto riguarda i sintomi e il decorso della malattia:

“È interessante notare che non abbiamo trovato prove di impatto del G614 sulla gravità della malattia. L’attuale lavoro suggerisce che, sebbene più infettiva, la nuova variante non è più patogena. La speranza è che mentre l’infezione SARS-CoV-2 si diffonde, il virus potrebbe diventare meno patogeno”.

Potrebbe quindi essere una buona notizia, come sottolineato da Lawrence Young, professore di oncologia all’Università di Warwick nel Regno Unito.
Il team ha testato campioni prelevati da pazienti in tutta Europa e negli Stati Uniti per poi sequenziare i genomi e confrontarli con le altre forme conosciute.

La nuova forma del virus sembra mostrarsi dalle tre alle 9 volte più contagiosa, e attacca partendo in particolare dal tratto respiratorio superiore - il naso, i seni nasali e la gola - il che spiegherebbe la maggiore rapidità.

I test condotti su 1.000 pazienti ricoverati per coronavirus in Gran Bretagna hanno mostrato come i soggetti che hanno contratto la nuova forma non mostrino condizioni di salute peggiori o decorsi più accelerati della malattia:

“Tutti i risultati concordano sul fatto che la nuova forma è da tre a nove volte più infettiva delle passate. Disponiamo di ampie prove sperimentali a supporto. Naturalmente, è necessario ulteriore lavoro per consolidare i risultati e vedere cosa significano i cambiamenti per l’epidemia e per i pazienti. Ci sono potenziali conseguenze anche per i vaccini, e stiamo studiando attivamente quali potrebbero essere”,

ha spiegato David Montefiore della Duke University, tra le figure che hanno testato il virus in laboratorio.

Iscriviti a Money.it