Il coronavirus è più contagioso in Europa, uno studio spiega perché

Martino Grassi

15/04/2020

Secondo uno studio italo-americano, il coronavirus è più contagioso in Europa a cause delle mutazioni genetiche avvenute durante le sue riproduzioni. Quali sono le implicazioni su un possibile vaccino?

Il coronavirus è più contagioso in Europa, uno studio spiega perché

Il coronavirus si sta manifestando in una forma più aggressiva e contagiosa in Europa rispetto alla Cina, come dimostrano anche i dati riguardanti il numero delle infezioni e dei decessi del nostro continente rispetto al Paese del Dragone. La conferma arriva da uno studio effettuato dagli scienziati dell’Institute of Human Virology (IHV) dell’Università del Maryland in collaborazione con il Campus Biomedico di Roma e l’Area Science Park di Trieste.

Dopo avere analizzato oltre 220 genomi completi del virus presenti nelle banche dati del National Center for Biotechnology Information (NCBI) e della Global Initiative on Sharing All Influenza Data (GISAID) dal dicembre 2019 a marzo 2020, gli scienziati hanno dimostrato che la maggiore morbosità dell’agente patogeno è dovuta ad una mutazione avvenuta il 9 febbraio in Gran Bretagna.

Perché il coronavirus in Europa è più contagioso

Dallo studio pubblicato sul Journal of Translation Medicine è emerso che il coronavirus si è evoluto in ceppi diversi, più contagiosi e più instabili. La mutazione è avvenuta nel meccanismo di “correzione delle bozze” dell’RNA, ossia il materiale genetico dell’agente patogeno.

Nello specifico, ogni volta che il coronavirus si duplica all’interno di un organismo possono avvenire degli errori di trascrizione, solitamente in tutti gli esseri viventi vi è un sistema di revisione, ma a volte possono esserci delle sviste che fanno lo mutare.

Essendosi replicato in migliaia di persone, le possibilità di mutazioni non fanno che aumentare e, come spiegano gli scienziati:

“Il tasso di mutazione dei virus a Rna è molto alto, fino a un milione di volte più alto di quello del suo ospite. Questo serve al virus per adattarsi, modulando la sua virulenza”.

Le conseguenze per il vaccino

La nuova scoperta del team di ricerca apre due nuovi scenari, da un lato queste nuove informazioni aiuteranno nell’individuazione di un possibile vaccino in grado di debellare definitivamente il coronavirus, come ha sottolineato anche Massimo Ciccozzi, epidemiologo molecolare e direttore dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma:

“Si tratta di un importante risultato nella direzione di una maggiore conoscenza del comportamento del virus e, in prospettiva, per lo sviluppo di un vaccino specifico e delle terapie più adeguati”.

Dall’altro però metto in evidenza una situazione più drammatica che potrebbe vanificare le ricerche sull’antidoto fatte fino ad ora. Se il virus continua a mutare con questo ritmo, fanno notare gli studiosi, rischia di diventare irriconoscibile per la memoria del nostro sistema immunitario, e dunque le persone oggi potenzialmente immuni sarebbero in gradi di infettarsi con un altro ceppo. In altre parole si annullerebbe la possibilità dell’immunità di gregge, e anche il lavoro di ricerca fatto finora per trovare un vaccino potrebbe risultare vano.

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