Proteggere i nostri dati dalle Big Tech è possibile: lo spiega Stefano Quintarelli, ideatore dello SPID. Ecco i consigli essenziali per tutelare davvero la nostra privacy online.
Per molti utenti, l’idea di proteggere davvero i propri dati sensibili online assomiglia a un paradosso. Ci convinciamo di prestare attenzione alla privacy, ma poi quasi nessuno rinuncia a utilizzare piattaforme come Gmail, WhatsApp, iCloud, Chrome e via dicendo. Un paragone semplice - ma d’effetto - per comprendere meglio questa contraddizione ci viene fornito da Stefano Quintarelli, pioniere dell’innovazione digitale e ideatore dello SPID. In una videointervista esclusiva per Money.it, l’imprenditore veneto paragona questo atteggiamento ai “buoni propositi di inizio anno” come, ad esempio, l’intenzione di cominciare un percorso in palestra:
“È un po’ come diciamo tutti. ’L’anno prossimo mi metto a stecchetto e vado in palestra’, magari facciamo anche l’abbonamento e poi è faticoso farlo, non lo facciamo più”.
Disintossicarsi dai servizi di Big Tech come Apple, Google, Meta, Microsoft e Amazon è sicuramente difficile, poiché ci ritroviamo in un mondo che, tranne per poche eccezioni, si fonda principalmente sull’utilizzo di queste piattaforme, che sia per l’ottimizzazione del lavoro, per la socialità o per la gestione della vita quotidiana.
Per Quintarelli, tuttavia, rimanere in questo ecosistema è paragonabile a vivere in un “giardino recintato”: una dimensione efficiente e integrata che, tuttavia, trasforma gli utenti in “residenti” più che in “proprietari” della propria vita digitale. Mentre per molti questa situazione è uno standard, il padre di SPID la avverte come un limite.
Per questo motivo, l’imprenditore ha preso la coraggiosa decisione di staccarsi. Dal 2015, racconta, ha smesso di usare quasi completamente gli strumenti delle grandi società tech statunitensi. Una decisione maturata nel momento in cui, da presidente del Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), doveva disegnare la strategia informatica della pubblica amministrazione italiana. Per farlo in modo indipendente e coerente, ha scelto di vivere sulla propria pelle un modello alternativo. È semplice farlo? No, almeno non all’inizio. Come mangiare sano o allenarsi, anche proteggere la privacy richiede un minimo di sforzo, disciplina e apprendimento.
“Mantenere uno stile di vita rispettoso della privacy e della sovranità digitale è una cosa che costa un po’ di fatica. Bisogna imparare a fare delle cose che non sono quelle che fanno tutti, quindi bisogna nuotare un pochino controcorrente”.
Ma, secondo Quintarelli, ogni cittadino può farlo se lo vuole davvero. Di seguito, ecco alcuni consigli utili per staccarsi più facilmente dalle piattaforme delle multinazionali USA e tutelare davvero la nostra privacy online.
Comprendere le dinamiche della raccolta dati
La raccolta dei dati personali è diventata il motore economico di molte grandi piattaforme digitali. Ogni interazione online genera informazioni che vengono elaborate, analizzate e spesso monetizzate. Vivere con maggiore tutela della propria identità digitale significa riconoscere che nostri dati sono una risorsa preziosa e che cederli senza consapevolezza comporta conseguenze che vanno ben oltre il semplice utilizzo di un’app.
Molti servizi online richiedono informazioni che non sono strettamente necessarie al loro funzionamento. Spesso la richiesta di dati aggiuntivi viene mascherata come una condizione per “migliorare l’esperienza”, senza spiegare realmente come saranno utilizzati.
È importante fermarsi a valutare ogni richiesta e domandarsi se sia davvero indispensabile. Anche quando un servizio è gratuito, il modello economico che lo sostiene si basa quasi sempre sulla profilazione degli utenti. Questo significa che il vero prezzo del servizio è la quantità di dati personali che si decide di condividere.
Ridurre il più possibile la propria esposizione
Il primo passo consiste nel fornire solo le informazioni necessarie. In molti contesti non è obbligatorio indicare il nostro vero nome, il numero di telefono o l’indirizzo di casa. Quando possibile, è utile preferire alternative che richiedono meno informazioni o che adottano politiche più trasparenti.
Un approccio altrettanto importante riguarda la gestione tecnica dei propri dati. È necessario controllare regolarmente le autorizzazioni delle app, limitare l’accesso a fotocamera e contatti, usare strumenti di navigazione che riducono il tracciamento, aggiornare regolarmente software e dispositivi per evitare vulnerabilità.
Aumentare la protezione degli account
Una parte significativa degli abusi sulla privacy avviene attraverso la compromissione degli account. Proteggerli significa ridurre anche il volume di dati che può finire nelle mani sbagliate. L’uso di password solide, di un gestore dedicato per conservarle e dell’autenticazione a due fattori permette di ridurre i margini sensibili e impedire accessi non autorizzati.
La sicurezza non elimina la raccolta dati delle piattaforme, ma impedisce almeno che terzi non autorizzati accedano alle informazioni già memorizzate.
Riconoscere i limiti e le contraddizioni del sistema
Anche con la massima attenzione, non è possibile impedire completamente la raccolta dei dati. Alcune informazioni vengono raccolte automaticamente dal dispositivo o dal servizio stesso, mentre altre vengono recuperate tramite algoritmi.
Inoltre, richiedere la rimozione dei dati da database commerciali non è sempre semplice, poiché spesso e volentieri vengono richieste ulteriori informazioni per verificare l’identità e completare il procedimento, creando così un paradosso difficile da aggirare.
È quindi necessario accettare che la privacy assoluta non esiste e che l’obiettivo realistico non è l’isolamento totale, ma la riduzione dell’esposizione.
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Costruire un ecosistema digitale più consapevole
Vivere senza cedere dati alle multinazionali non significa rinunciare del tutto alla tecnologia, ma adottare un approccio selettivo tramite la scelta di servizi meno invasivi, strumenti progettati per limitare la raccolta di informazioni e soluzioni alternative - anche a pagamento - che possono rappresentare un vantaggio in termini di tutela della propria identità digitale.
Con il tempo, questa consapevolezza diventerà un’abitudine che, ogni volta che si apre un’app, si installa un nuovo servizio o si naviga online, può aiutarci a capire quale sia il costo in termini di dati.
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