Da un piccolo laboratorio casalingo nel Dorset, Mark Constantine e Liz Weir hanno creato Lush: il brand etico che ha conquistato il mondo con prodotti naturali e handmade.
Negli anni Sessanta, Mark Constantine era un ragazzo qualunque della provincia inglese, con un sogno vago e pochi mezzi. A soli 16 anni si ritrovò senza casa, costretto a dormire in una tenda nei boschi e chiedere ospitalità affidandosi alla solidarietà altrui. “Ero dipendente dagli amici e da enti caritatevoli”, ha raccontato anni dopo. Ma quell’esperienza di precarietà, che avrebbe potuto spezzare molti, diventò invece il seme della sua tenacia.
Con il tempo, Mark si formò come parrucchiere e poi come tricologo, specializzandosi nello studio del cuoio capelluto. Fu in un salone di bellezza a Poole, nel Dorset, che incontrò Liz Weir, estetista, curiosa, creativa e animata dalla stessa voglia di sperimentare. La loro intesa professionale fu immediata: entrambi sognavano una cosmetica più sincera, fatta con ingredienti naturali, senza artifici né sprechi.
Insieme fondarono una piccola azienda artigianale che produceva cosmetici naturali per saloni ed erboristerie. Erano tempi in cui parlare di prodotti cruelty-free o di formule vegetariane era quasi avanguardistico. Ma il loro approccio genuino e rigoroso attirò presto l’attenzione di un nome già noto, quello di Anita Roddick, fondatrice di The Body Shop, che acquistò da loro diverse formule da inserire nella sua linea. Quell’accordo diede loro visibilità, ma anche un vincolo di non concorrenza che per anni li tenne lontani dal mercato diretto.
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La nascita di Lush
Quando il contratto con The Body Shop terminò, Constantine e Weir provarono a mettersi di nuovo in gioco. Nacque così Cosmetics To Go, un’azienda di vendita per corrispondenza che prometteva cosmetici naturali consegnati direttamente a casa. Era un’idea brillante ma troppo avanti per i tempi. L’impresa crebbe rapidamente, ma i costi di produzione e spedizione esplosero, tanto che nel 1994 l’azienda fallì, lasciando dietro di sé debiti e magazzini pieni.
Per Mark fu un duro colpo, ma non la fine. “Abbiamo imparato molto da quel fallimento,” ha dichiarato più tardi. Invece di arrendersi, lui, sua moglie Mo, Liz e altri soci trasformarono infatti le lezioni apprese in un nuovo inizio. Così, nel 1995, nacque Lush.
Il primo negozio aprì a Poole. Dentro, scaffali di legno, oli essenziali, colori vivaci e personale entusiasta. I prodotti erano fatti a mano, con ingredienti freschi e biologici, senza conservanti chimici superflui. Le “bombe da bagno”, oggi uno dei simboli del brand, divennero un fenomeno virale prima ancora dell’era dei social. Ogni articolo aveva un volto, quello della persona che l’aveva realizzato, e un’etichetta trasparente, simbolo di un’etica chiara che celebrava il rispetto per la natura, le persone e gli animali.
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Un’etica che diventa business globale
Lush scelse sin dal principio di andare controcorrente percorrendo una strada radicalmente diversa da quella del marketing tradizionale. Niente pubblicità convenzionale, nessun influencer, solo passaparola e coinvolgimento diretto dei clienti. Ogni negozio doveva essere un’esperienza sensoriale e relazionale, più che un punto vendita. E non a caso, il linguaggio, l’ironia e la sincerità del marchio conquistarono ben presto una clientela globale.
Oggi Lush conta oltre 860 negozi in tutto il mondo, con sei centri di produzione distribuiti tra Europa, America e Asia. Nell’anno fiscale 2024, il gruppo ha registrato 674,5 milioni di sterline di ricavi, pari a circa €785 milioni. Nonostante un EBITDA negativo di circa €11 milioni, dovuto agli investimenti e all’inflazione, il marchio rimane uno dei casi più solidi di crescita etica nel settore beauty.
Mark Constantine, ancora oggi alla guida del brand, ha più volte sottolineato come la loro forza “non è il profitto, ma la coerenza”. In effetti, Lush ha spesso rinunciato a piattaforme digitali per motivi di privacy e ha preso posizione su temi ambientali e sociali anche quando questo poteva danneggiare le vendite.
Liz Weir, dal canto suo, rimane l’anima creativa della fase iniziale: fu lei a immaginare molti dei primi prodotti e a dare all’azienda la dimensione umana che ancora oggi la distingue.
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