La filiale panamense di Chiquita è rimasta senza dipendenti: tutti licenziati i 7.000 lavoratori impiegati.
La filiale panamense del colosso statunitense delle banane Chiquita Brands ha ufficialmente chiuso i battenti: l’azienda ha completato il licenziamento di tutti i suoi dipendenti. A Panama lavoravano fino allo scorso maggio oltre 7.000 persone. Dopo il licenziamento di 4.900 operai nelle scorse settimane, ora è arrivato l’addio anche per gli ultimi 1.600 dipendenti rimasti.
Il licenziamento di massa è avvenuto in seguito a una lunga ondata di scioperi nel paese contro la riforma delle pensioni. Lo stop alle attività, giudicato ingiustificato abbandono del lavoro dalle autorità, ha portato alla chiusura del centro produttivo di Chiquita a Changuinola, nella provincia caraibica di Bocas del Toro, al confine con la Costa Rica.
Chiquita aveva chiesto al tribunale del lavoro l’autorizzazione a procedere con i licenziamenti e ha ottenuto il via libera. Secondo quanto dichiarato dalla ministra del Lavoro di Panama, Jackeline Muñoz, «ci è stata presentata una richiesta di autorizzazione a licenziare più di 1.600 dipendenti, e ad oggi non è rimasto un solo lavoratore nell’intero organico aziendale». La decisione ha suscitato forti reazioni a livello nazionale, con proteste che si sono estese ben oltre la provincia interessata, coinvolgendo anche le aree urbane.
Si tratta di un durissimo colpo per l’occupazione locale: l’azienda era uno dei principali datori di lavoro della regione. Gli scioperi, che hanno paralizzato anche la circolazione con blocchi stradali, avrebbero causato perdite per circa 75 milioni di dollari. I sindacati protestavano contro la riforma delle pensioni varata dal governo, chiedendo il ripristino del precedente sistema che garantiva migliori prestazioni sanitarie e previdenziali per i lavoratori agricoli.
Il governo verso il dietrofront
Il governo di destra guidato da José Raúl Mulino ha avviato un tavolo di confronto con i sindacati e si è detto disponibile a presentare un disegno di legge per ripristinare le precedenti garanzie sociali. Tuttavia, ha condizionato la presentazione della riforma al Parlamento alla riapertura immediata delle strade bloccate. Una mossa che i sindacati hanno definito un ricatto e che hanno deciso di respingere, annunciando che continueranno la mobilitazione finché il disegno di legge non sarà approvato.
La crisi non coinvolge solo i lavoratori del settore agricolo: anche insegnanti e operai edili sono scesi in piazza. Tra i motivi della protesta, anche l’accordo con gli Stati Uniti che consente l’invio di truppe americane nel Paese per contribuire alla sicurezza del Canale di Panama. Un’intesa giudicata inaccettabile da parte di ampie fasce della popolazione, che la interpretano come una forma di ingerenza esterna.
Chiquita controllava circa il 90% della produzione bananiera di Panama, un comparto che rappresenta quasi un quinto delle esportazioni nazionali e che ha generato oltre 325 milioni di dollari solo nel primo trimestre dell’anno. La prospettiva di un abbandono definitivo da parte dell’azienda è vista come una perdita colossale per l’economia del Paese.
Per questo il governo ha deciso di accelerare il dibattito parlamentare sulla riforma del welfare. L’obiettivo è duplice: da un lato, fermare lo sciopero e ripristinare l’ordine; dall’altro, tentare un’ultima mediazione per scongiurare l’uscita definitiva di Chiquita da Panama. Senza un accordo, gli effetti sociali ed economici potrebbero aggravarsi nei prossimi mesi, con conseguenze difficilmente reversibili per l’intero settore agricolo.
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