Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr): cosa sono, a cosa servono e in quali regioni ci saranno

Ilena D’Errico

19/09/2023

19/09/2023 - 22:13

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Il governo vuole aprire nuovi centri di permanenza per i rimpatri per fronteggiare i flussi migratori. Ecco cosa sono i Cpr, a cosa servono e in quali regioni ci saranno.

Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr): cosa sono, a cosa servono e in quali regioni ci saranno

Per far fronte all’elevato numero di sbarchi e alla rinnovata emergenza migranti il governo Meloni ha annunciato l’apertura di nuovi Cpr, ovvero centri di permanenza per i rimpatri. Il tempo per mettere a punto il piano di apertura è davvero poco, si parla di meno di 2 mesi per individuare le strutture e allestirle. Il Genio militare sarà coinvolto soltanto per quanto riguarda l’allestimento dei centri, mentre il loro presidio sarà di competenza delle forze di polizia.

Nonostante i tempi stringenti e l’effettiva eccezionalità degli sbarchi di questo periodo, si sono già sollevate le prime perplessità riguardo a questa strategia. Si teme soprattutto che, considerando i numeri abituali dei rimpatri, si tratterà di uno sforzo inconcludente.

Cosa sono i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) e a cosa servono

I Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) sono delle strutture dedicate ad accogliere le persone giunte in Italia senza permesso di soggiorno o destinate a un provvedimento di espulsione e a ospitarle in attesa del rimpatrio. Naturalmente, non sono comprese in questa categoria le persone rifugiate o richiedenti asilo.

La nascita dei centri di permanenza per i rimpatri è dovuta proprio ai lunghi tempi delle espulsioni, in modo che i cittadini extracomunitari sprovvisti di permessi possano permanere nelle strutture in attesa del provvedimento.

La funzionalità dei Cpr si basa quindi su tempi di permanenza massima, che con questa linea dura del governo Meloni passeranno a 180 giorni. Ciò significa che, almeno in teoria, i migranti irregolari che non hanno ottenuto protezione dall’Italia dovranno essere espulsi entro 180 giorni, tempo che passeranno nel Cpr designato dal questore.

In quali Regioni ci saranno i Cpr

Oltre alle varie strette, tra cui la riduzione del tempo massimo di permanenza all’interno delle strutture, la soluzione proposta dal governo indica anche la creazione di nuovi centri di permanenza per i rimpatri. Da un lato, le strutture già presenti sul nostro territorio non sono in grado di reggere l’elevato numero di migranti arrivato nell’ultimo periodo, soprattutto alla luce di possibili nuovi sbarchi di massa.

D’altra parte, la previsione di nuove strutture sembra voler attutire il colpo nel caso in cui sarà impossibile rispettare le tempistiche delle espulsioni, come in molti non hanno mancato di far notare nelle ultime ore.

Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha dichiarato che sarà necessario realizzare un centro di permanenza per ogni Regione italiana. Al momento, i Cpr presenti sul nostro territorio si trovano nelle seguenti città italiane:

  • Bari;
  • Brindisi;
  • Caltanissetta;
  • Roma;
  • Torino, dove però la struttura è chiusa;
  • Potenza;
  • Trapani;
  • Gradisca d’Isonzo (Gorizia);
  • Macomer (Nuoro);
  • Milano.

Contando i 10 Cpr presenti sul territorio, affinché ce ne sia uno per Regione sarà necessario aprirne almeno altri 12, considerando le Regioni mancanti all’appello:

  • Valle d’Aosta;
  • Liguria;
  • Emilia-Romagna;
  • Veneto;
  • Trentino-Alto Adige;
  • Umbria;
  • Toscana;
  • Marche;
  • Abruzzo;
  • Molise;
  • Campania;
  • Calabria.

Si ipotizza quindi un nuovo Cpr in ognuna di queste Regioni, oltre alla riapertura della struttura di Torino. La realizzazione, però, potrebbe distaccarsi notevolmente dalla teoria. Oltre ai problemi di natura logistica e organizzativa, alcuni rappresentanti hanno manifestato già il loro dissenso.

Riguardo alla scelta delle strutture, il governo intende utilizzare le caserme dismesse, quando possibile, scegliendo in ogni caso luoghi poco popolati, facili da recintare e sorvegliare.

Le proteste dei governatori e i dubbi sui Cpr

La creazione di nuovi centri di permanenza per i rimpatri è stata appena annunciata, ma le proteste si stanno già susseguendo. Tra la dubbiosità sull’efficacia di questa strategia e i timori sulle possibili ripercussioni sull’ordine pubblico, stanno arrivando molti no.

Fra questi, Eugenio Giani, governatore della Toscana, che si è opposto fermamente alla creazione di strutture per il rimpatrio sul territorio. Sulla stessa lunghezza d’onda ma più pragmaticamente è intervenuto il presidente della provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, che approverà soltanto i Cpr utili al territorio, vale a dire all’accoglienza dei migranti presenti nell’Alto Adige.

La strategia dei rimpatri non è generalmente stata accolta come opzione risolutiva, timore supportato dai dati sull’immigrazione. Nel 2023 l’Italia ha completato soltanto 3.193 rimpatri, che hanno richiesto risorse in termini di tempo ed economia. Il nostro Paese, peraltro, ha accordi di espulsione rapida con soli 16 Paesi, con le eventuali clausole. L’accordo con la Tunisia, ad esempio, prevede soltanto l’accettazione migranti tunisini.

Pare così che il governo voglia puntare sulla deterrenza, anche se le statistiche non riportano diminuzioni delle migrazioni con l’uso dei Cpr. La prospettiva di una lunga detenzione nelle strutture e di un rimpatrio forzato è evidentemente debole rispetto alle cause della migrazione, ma il governo concentra gli sforzi sul tentativo di fermare le partenze, anche visto lo scarso appoggio comunitario.

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