Che campagna elettorale è stata? Trionfa l’effimero, bocciati tutti i leader

Alessandro Cipolla

2 Marzo 2018 - 15:43

Con il silenzio elettorale che ormai incombe, possiamo tirare le somme di questa deludente campagna elettorale che ci ha accompagnato verso il voto.

Che campagna elettorale è stata? Trionfa l’effimero, bocciati tutti i leader

Moscia, impalpabile e ambigua. Se si dovessero usare tre aggettivi per definire questa campagna elettorale questi sarebbero senza dubbio i più adatti visto quello che abbiamo visto, ma soprattutto non visto, in questi due mesi.

Il poco tempo a disposizione e le casse vuote non sono un alibi sufficiente per giustificare la pochezza della campagna elettorale di queste elezioni politiche. Visto il silenzio elettorale che incombe, proviamo allora a tracciare una sorta di triste bilancio.

Una campagna elettorale senza contenuti

Senza dubbio questa delle elezioni politiche del 4 marzo è stata una campagna elettorale più breve rispetto al solito, iniziata in pratica a inizio anno e durata quindi di conseguenza circa due mesi.

Altra problematica che i partiti poi hanno dovuto affrontare è quella delle scarse disponibilità finanziarie di tutte le forze politiche, soprattutto se messe a confronto di quanto accade negli altri grandi paesi del mondo.

Finito l’elenco delle possibili giustificazioni, non rimane che commentare quello che è successo in questa campagna elettorale dove a trionfare è stata la vacuità della nostra classe politica ormai sempre più in simposio soltanto con il mondo televisivo.

Il grande assente di questi due mesi sono stati i contenuti: dopo un’iniziale dibattito tutto incentrato sulle pensioni e sulla possibile Flat Tax, pian piano i vari punti programmatici sono andati scemando per lasciare spazio a inutili chiacchiere.

Anche alcuni fatti di cronaca poi, vedi quello che è successo a Macerata, hanno influito nel distogliere l’attenzione focalizzando il confronto dalle proposte per governare il paese verso aspetti.

Specie nell’ultimo mese, abbiamo assistito a politici ospiti in ogni trasmissione televisiva o radiofonica parlando soltanto di possibili alleanze post voto, come se la partita più importante non fosse quella del 4 marzo ma quella che inizierà una volta chiuse le urne.

Le poche volte che invece sono state proposte idee programmatiche queste sono state delle assolute iperbole: tasse drasticamente diminuite, sgravi per tutti, nuovi posti di lavoro come se piovesse e un’Italia pronta a diventare più “smart” qualsiasi cosa questo possa significare.

Tranne che nel caso del PD dove è stato dedicato un piccolo paragrafo, giusto per fare un esempio in nessun programma elettorale si è parlato del terremoto che ha sconvolto il Centro Italia. Un sentore questo di come i partiti siano ormai lontani dalle esigenze dei territori e sempre più autoreferenziali.

Nel mezzo di tutto questo è emersa tutta la drammatica inconsistenza della nostra classe politica, che sempre meno si è vista nelle piazze e sempre più al contrario nei salotti televisivi, anche i più improbabili.

Se questi sono leader

Entrando più nello specifico, nessuno dei leader dei vari partiti ha raggiunto la sufficienza in questa campagna elettorale. Nell’inconsistenza generale, l’unica a salvarsi è stata Giorgia Meloni che almeno ha cercato di mantenere una linea politica coerente cercando di focalizzarsi sulle proposte di Fratelli d’Italia, apprezzabili o meno che siano, invece che sulle possibili larghe intese.

Il suo grande alleato Matteo Salvini invece non è riuscito ad andare oltre i suoi soliti e ben noti slogan contro i migranti e la legge Fornero. Troppo poco per chi dice di essere pronto a guidare il paese.

Su Silvio Berlusconi in questi anni si è scritto e detto di tutto. Lui è sempre lo stesso e, nonostante l’età, non si risparmia nell’impazzare da uno studio all’altro. Le promesse ormai sono sempre quelle: se nel ‘94 la cosa poteva apparire come una novità, più di vent’anni dopo invece la cosa diventa stucchevole.

Matteo Renzi non si è dimostrato di certo più incisivo dei suoi colleghi. Un po’ di televisione, qualche evento e nulla più. Una volta il PD si proponeva come il partito del popolo, ora sembra invece quello dell’élite: niente più piazze e comizi ma soltanto hashtag e Barbara D’Urso.

Nel Movimento 5 Stelle invece Luigi Di Maio ha fatto il tour dei salotti buoni, lasciando al battitore libero Di Battista il compito di infiammare le platee. L’apertura poi ad appoggi esterni di altri partiti è un chiaro sintomo di come i pentastellati si stiano sempre più trasformando in una forza politica simile alle altre.

Infine non è pervenuto Pietro Grasso. Liberi e Uguali doveva segnare il ritorno della sinistra, ma alla fine il listone si è fatto notare soltanto per ammiccamenti trasversali nella speranza di poter essere considerati nel gran ballo delle trattative post voto per formare un governo.

Mala tempora currunt.

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