Calcolo TFR dipendenti pubblici è legittimo: la Consulta conferma la riduzione del 2,5%

Simone Micocci

23 Novembre 2018 - 11:11

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È legittimo il sistema per il calcolo del TFR adottato per gli statali: la riduzione del 2,5% non viola i principi costituzionali.

Calcolo TFR dipendenti pubblici è legittimo: la Consulta conferma la riduzione del 2,5%

La Corte Costituzionale - con la sentenza 213/2018 - ha confermato le attuali modalità per il calcolo del TFR per i dipendenti pubblici. Secondo i giudici della Consulta, infatti, l’attuale sistema di calcolo per il trattamento di fine rapporto non viola alcun principio costituzionale, poiché le regole vigenti assicurano la parità di trattamento economico con i dipendenti pubblici che sono in regime di TFS.

Le regole per il calcolo del TFR dei dipendenti pubblici, quindi, non cambieranno, con la Consulta che conferma la riduzione del 2,5%. Da parte della Corte Costituzionale, invece, non sono arrivate ancora pronunce in merito alla questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Roma in merito ai ritardi nel pagamento del TFR dei dipendenti pubblici; per sapere se il ritardo viola i principi dettati dalla Costituzione, quindi, bisognerà ancora attendere.

Ma torniamo a parlare del calcolo del TFR per i dipendenti pubblici facendo chiarezza su come funziona e sul perché secondo i giudici della Corte Costituzionale è del tutto legittimo.

Calcolo del TFR dipendenti pubblici: perché non è incostituzionale

La Corte Costituzionale, con la sentenza 213/2018, ha messo il punto sul delicato contenzioso insorto con il passaggio dal regime di TFS (trattamento di fine servizio) a quello di TFR (trattamento di fine rapporto) avviato nel 1995 dalla riforma Dini; un passaggio necessario per armonizzare il calcolo della buonuscita nel pubblico impiego con quello del settore privato.

Nel dettaglio, la norma sulla quale sono intervenuti i giudici della Corte Costituzionale è quella riguardante l’articolo 26 della Legge di Bilancio 1999, secondo la quale per il calcolo del TFR dei dipendenti pubblici bisogna prendere come base imponibile ai fini fiscali e previdenziali la retribuzione lorda scomputata di una somma pari al 2,5%, equivalente del soppresso contributo che gravava sul lavoratore con il quale si andava a finanziare l’indennità di buonuscita (IBU) e l’indennità premio di servizio (IPS).

Insomma, un provvedimento - attuato poi dal decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri approvato il 20 dicembre del 1999 - che ha come obiettivo quello di assicurare il pari trattamento tra il personale in regime di TFS e quelli in regime di TFR.

Era stato il Tribunale di Perugia a sollevare la questione di legittimità costituzionale, ravvedendo nel suddetto provvedimento una evidente e ingiustificata disparità di trattamento.

Secondo il Tribunale umbro, infatti, la riduzione del 2,5% è del tutto irragionevole, dal momento che la base imponibile del TFR dovrebbe in realtà coincidere con la retribuzione lorda. La riduzione, infatti, sarebbe stata lesiva dell’articolo 36 della Costituzione - “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” - poiché avrebbe collocato la retribuzione dei dipendenti pubblici in regime di TFR sotto alla soglia della retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva.

La Consulta non accoglie la censura

Come anticipato, però, per i giudici della Corte Costituzionale l’attuale sistema adottato per il calcolo del TFR per i dipendenti pubblici non viola l’articolo 36, né altri articoli della Costituzione.

Secondo la Consulta, infatti, senza la decurtazione della retribuzione lorda i lavoratori in regime di TFR andrebbero a percepire una retribuzione netta più elevata rispetto a quelli in regime di TFS e ciò sì che equivarrebbe ad una disparità di trattamento ai fini fiscali, con conseguente violazione del principio di invarianza della retribuzione.

Infine, la Corte Costituzionale chiarisce che la suddetta decurtazione non ha alcun effetto sul piano previdenziale dal momento che lo stesso DPCM del 20 dicembre 1999 ha previsto un recupero - in misura pari alla riduzione del 2,5% - tramite un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali.

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