Buste paga, il governo vuole aumentare il salario mediano: cos’è e come intende farlo

Simone Micocci

30/03/2023

30/03/2023 - 12:52

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No al salario minimo, sì all’aumento del salario mediano: ecco qual è il vero piano del governo Meloni per le buste paga.

Buste paga, il governo vuole aumentare il salario mediano: cos’è e come intende farlo

Anche se ha detto no al salario minimo, il governo Meloni non intende rinunciare al piano di aumentare gli stipendi degli italiani. Anzi, come confermato dal sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, in un’intervista esclusiva di Money.it, il progetto è persino più ambizioso: anziché puntare al salario minimo, infatti, si vuole aumentare il salario mediano, portando quindi la generalità dei lavoratori a guadagnare di più rispetto a oggi.

Il paradigma è quindi molto differente: se con il salario minimo si fa in modo che per ogni lavoratore ci sia una certa soglia al di sotto di cui non si può andare, con il salario mediano si cercherà di portare il livello medio delle retribuzioni attualmente percepite in Italia al di sopra dell’attuale valore.

Prima di puntare il dito conto il governo Meloni per il no al salario minimo, quindi, bisognerà dargli perlomeno il tempo di mettere a punto il proprio piano che almeno nelle promesse dovrebbe riguardare un maggior numero di lavoratori e non solo quelli che guadagnano meno di 9 euro l’ora, ossia la soglia a cui puntano i promotori della paga minima.

Perché no al salario minimo

Nelle scorse settimane la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha più volte risposto a domande sul salario minimo sottolineando che non può essere nel programma del suo esecutivo visto che “l’Italia non ha bisogno di una legge che fissi una paga minima per tutti i lavoratori” vista la presenza dei contratti collettivi.

Gli accordi collettivi, infatti, prevedono generalmente uno stipendio già più alto rispetto alla soglia che dovrebbe essere fissata con l’introduzione del salario minimo, pari appunto a 9 euro l’ora. Semmai bisognerà fare in modo di aumentare la diffusione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni sindacali confederate, contrastando così il fenomeno del dumping contrattuale. Ci sono, infatti, contratti sottoscritti con sindacati minori che prevedono condizioni meno vantaggiose per i lavoratori, con paghe spesso inferiori rispetto ai minimi fissati dai Ccnl più rappresentativi di categoria.

Bisogna quindi potenziare lo strumento di cui si dispone anziché puntare a introdurre un salario minimo che - come sottolineato dal sottosegretario Durigon - rischia di portare a un “livellamento verso il basso di tutti i salari”.

Puntare al salario mediano

Anziché fissare una soglia minima - con il rischio che poi possa diventare un punto di riferimento per tutti i contratti, anche per quelli in cui oggi la paga minima è più alta - bisognerà trovare un modo per aumentare il salario mediano, ossia il valore medio degli stipendi percepiti in Italia.

Nel dettaglio, nel 2022 il valore Ral (retribuzione annua lorda) medio è stato pari a 30.284 euro, 32.174 per gli impiegati, 25.522 per gli operai, leggermente meglio rispetto all’anno prima quando era pari a 29.301 euro.

Perlopiù il merito di questa crescita sarebbe da attribuire ai rinnovi contrattuali, con un aumento base dell’1,1% per le retribuzioni base. A conferma che i contratti collettivi sono ancora lo strumento su cui puntare. D’altronde, la contrattazione collettiva nel nostro Paese copre l’85% dei lavoratori, rinunciarci puntando su un salario minimo vorrebbe dire “vanificare gli sforzi fatti fino a oggi e quanto di buono è stato ottenuto grazie alla contrattazione”, spiega Durigon.

Piuttosto bisognerà - come tra l’altro stava provando a fare il governo Draghi - incentivare i rinnovi di contratto in quei settori dove gli accordi risultano scaduti da anni. E nel frattempo si potrà, come fatto già con la legge di Bilancio 2023, provare a ridurre ulteriormente il cuneo fiscale.

Taglio delle tasse sugli stipendi

Il governo Meloni si è impegnato nel ridurre il cuneo fiscale sugli stipendi fino al 5%, obiettivo che dovrebbe essere portato a compimento entro la fine della legislatura.

Intanto per il 2023 è stato confermato lo sgravio contributivo del 2% per le retribuzioni lorde fino a 2.692 euro, aumentato al 3% per le retribuzioni al di sotto dei 1.923 euro. “Sappiamo che non basta ma di fronte a una coperta cortissima, non si poteva andare oltre”, ha dichiarato Durigon, con la promessa che non appena possibile il governo interverrà ulteriormente su questo aspetto facendo sì che a parità di stipendio lordo possa esserci perlomeno un aumento del netto.

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