Così Putin sta finanziando la guerra in Ucraina e sta tenendo a galla l’economia russa grazie all’exploit dell’oro.
La corsa all’oro non accenna a fermarsi e, con grande stupore degli analisti, il metallo giallo ha già superato la soglia dei 4.000 dollari l’oncia con sei mesi di anticipo. Gli esperti, infatti, prevedevano il superamento del livello dei 4.000 dollari solo entro la metà del 2026, ma l’obiettivo è stato raggiunto in anticipo. A questo punto è facile ipotizzare che la soglia dei 4.300 dollari, fissata per la fine del 2026, possa essere toccata molto prima. Tuttavia, molti temono il rischio di una bolla speculativa.
L’aumento delle quotazioni dell’oro ha finito per favorire anche la Russia, che grazie a questo valore così elevato sta finanziando la guerra in Ucraina e mantenendo a galla un’economia pesantemente colpita dalle sanzioni occidentali e dagli attacchi ucraini contro le infrastrutture petrolifere del Paese. La strategia di Kiev è chiara: negli ultimi mesi ha scelto di colpire raffinerie e impianti petroliferi russi per ridurre la capacità di Mosca di finanziare la guerra, limitando la produzione e l’esportazione di petrolio. La Russia è il terzo produttore mondiale di greggio dopo Arabia Saudita e Stati Uniti. Lo scorso anno, le esportazioni di petrolio e gas hanno rappresentato circa il 30% del bilancio nazionale. Con i blocchi imposti dall’Occidente, Mosca ha dovuto cercare nuovi clienti, soprattutto in Asia, in particolare in Cina e Corea. Ora, con gli attacchi alle infrastrutture, anche le attività di estrazione e raffinazione risultano compromesse.
In questo scenario economico così instabile, le riserve auree rappresentano per la Russia un porto sicuro da cui attingere per finanziare la guerra e mantenere solida l’economia nazionale.
Riserve di oro in Russia cresciute negli ultimi anni
Nel corso dei tre anni di conflitto in Ucraina, Mosca ha compensato gran parte dei beni congelati nei cosiddetti «Paesi ostili» incrementando le proprie riserve di oro. Nel 2021 l’oro costituiva circa il 21% delle riserve internazionali della Federazione Russa, pari a 2.295 tonnellate, per un valore di 132,8 miliardi di dollari.
Entro il 2025 questa quota è salita al 35,4%, il livello più alto degli ultimi 25 anni. A marzo, le riserve auree russe ammontavano a 2.336 tonnellate, con un valore aumentato del 72%, ossia di circa 96 miliardi di dollari. Secondo la Banca Centrale russa, al 1° aprile il valore complessivo dell’oro monetario detenuto era di 228,95 miliardi di dollari, cifra ulteriormente rafforzata dal recente balzo dei prezzi del metallo.
Ma se nel 2022 i beni esteri russi sono stati congelati, perché le sanzioni non hanno colpito anche le riserve auree? Perché il blocco ha riguardato le riserve valutarie custodite in conti bancari esteri, mentre l’oro è detenuto fisicamente nei caveau della Banca Centrale in Russia, rendendolo inaccessibile alle sanzioni. Restrizioni potevano essere imposte solo sull’oro conservato all’estero.
In un contesto segnato dalle sanzioni, l’oro rappresenta per Mosca uno strumento di pagamento strategico e difficilmente tracciabile. A differenza delle valute, le transazioni in oro non passano attraverso circuiti controllati come SWIFT e non possono essere bloccate da decisioni di altri governi. Inoltre, la scarsa tracciabilità consente di venderlo facilmente a Paesi terzi tramite borse o canali anonimi, aggirando il sistema finanziario internazionale. La Russia continua ad accumulare oro come garanzia di stabilità economica, potendo contare su vasti giacimenti interni che ne rafforzano l’autonomia.
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