Assegno non trasferibile: quando è obbligatorio e quali sono gli errori da evitare? Ecco il vademecum MEF alle regole da seguire per non rischiare sanzioni.
L’obbligo di assegno non trasferibile per somme che superano un determinato importo non è una novità recente.
Per via dei controlli sempre più serrati e dei casi sempre più frequenti di maxi sanzioni, negli ultimi mesi se n’è tornato prepotentemente a parlare.
Non sono stati pochi i casi di contribuenti che, per via di assegni emessi senza la clausola non trasferibile, si sono visti recapitare una raccomandata da parte del Ministero dell’Economia e con un contenuto tutt’altro che piacevole.
Per chi emette un assegno “trasferibile” di importo superiore a 1.000 euro, in violazione della normativa antiriciclaggio introdotta con decreto legislativo n. 231/2007, la sanzione prevista può arrivare fino a 50.000 euro e il tutto indipendentemente dalla somma contestata.
Secondo l’indagine del MEF sono stati, ad oggi, oltre 1.500 i casi di violazione. Si tratta di errori compiuti spesso in buona fede da parte di contribuenti ignari delle regole sulla corretta compilazione di un assegno.
Proprio a fronte di ciò il MEF, il 12 marzo 2018, ha messo a disposizione online un utile vademecum su errori da evitare e sanzioni previste, con la promessa di revisione dell’attuale sistema sanzionatorio.
Assegno non trasferibile obbligatorio, ecco quando
Secondo la normativa attualmente in vigore e così come previsto dal DL 201/2011 la clausola non trasferibile è obbligatoria per tutti gli assegni di importo superiore a 1.000 euro.
La soglia è stata negli anni modificata più volte: basti pensare che nel 2008 l’importo che faceva scattare l’obbligo di apposizione della clausola di non trasferibilità era fissato in 12.500 euro.
La ragione dell’introduzione di limiti più stringenti così come di sanzioni più pesanti è il contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale: un assegno libero, per il Ministero dell’Economia, è assimilabile al contante ossia pagabile a vista a colui che l’esibisce per l’incasso.
Discorso diverso, invece, nel caso di assegno con clausola non trasferibile, che impedisce la girata e rende il titolo nominativo e incassabile dal solo beneficiario indicato. Insomma, rende pienamente tracciabile la transazione.
È importante verificare sempre che gli assegni di importo pari o superiore a 1.000 euro rechino la clausola di non trasferibilità anche qualora, in qualità di beneficiario, si riceva un assegno bancario o postale: sia emittente che beneficiario potranno essere sanzionati in caso di violazione.
Attenzione ai vecchi libretti
A partire dal 2008 le banche non emettono più carnet di assegni privi della clausola non trasferibile. Nonostante ciò è ancora possibile trovare in giro vecchi libretti che potrebbero indurre in errore il contribuente inconsapevole.
In tal caso il MEF ricorda che i vecchi assegni potranno essere ancora utilizzati ma, per evitare sanzioni, sarà necessario apporre manualmente la dicitura non trasferibile accanto al nominativo del beneficiario. In tal modo il trasferimento della somma indicata non potrà esser contestata.
Si ricorda che in ogni caso è possibile ancora oggi richiedere alla banca o a Poste Italiane il rilascio di libretti di assegni in forma libera, ovvero senza la clausola di non trasferibilità. In tal caso, tuttavia, sarà necessario pagare un’imposta di bollo di 1,50 euro per ciascun carnet di assegni richiesto.
Gli assegni trasferibili potranno esser utilizzati per trasferimenti di somme inferiori ai 1.000 euro, previa apposizione del nominativo del beneficiario.
Sanzioni da 3.000 a 50.000 euro
Il tasto dolente dalla nuova normativa antiriciclaggio sugli assegni riguarda, ovviamente, le sanzioni.
Il decreto legislativo n. 231/2007 è stato modificato dal decreto legislativo n. 90/2017, rendendo le multe per assegni privi di clausola non trasferibile ancor più pesanti.
A partire dal 4 luglio 2017 le sanzioni per assegni di importo pari o superiore a 1.000 euro senza clausola non trasferibile sono fissate da un minimo di 3.000 ad un massimo do 50.000 euro. In precedenza la sanzione veniva determinata in misura percentuale rispetto all’importo degli assegni irregolari emessi (dall’1% al 40%).
La modifica alle sanzioni ha avuto ricadute anche sull’oblazione, ovvero sulla possibilità di versare volontariamente una determinata somma per concludere anticipatamente (ed entro 60 giorni dalla data di contestazione) il procedimento sanzionatorio.
L’oblazione, che per legge è pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista, ovvero se più favorevole al doppio del minimo, è pari a 6.000 euro nel caso specifico, indipendente dall’importo dell’assegno contestato.
Insomma, anche in caso di contestazione per assegno di 2.000 euro privo di clausola non trasferibile si dovrà sborsare la somma fissa di 6.000 euro, oppure ovviamente attendere che si concluda il procedimento sanzionatorio.
La “trappola” dell’oblazione
Nel suo vademecum, il MEF specifica che non è obbligatorio pagare l’oblazione ma che, una volta ricevuta la contestazione, è possibile attendere la conclusione del procedimento sanzionatorio.
Insomma, la situazione che si verrebbe a profilare è quella di un doppio rischio: da un lato, quello di accettare l’oblazione, pagare un importo fisso, ma senza potersi difendere ed ottenere, laddove ne ricorrano gli estremi, un proscioglimento e, dall’altro, quello di attendere che si concluda il procedimento e pagare la sanzione irrogata (che potrebbe tuttavia esser molto più salata dell’oblazione).
Sul punto è lo stesso Ministero a sottolineare l’ambivalenza dell’attuale sistema sanzionatorio e l’impossibilità di determinare a priori quale strada convenga intraprendere.
Una delle poche certezze è che l’intenzione del MEF pare esser quella di ripristinare la proporzionalità delle sanzioni, fermo restando il limite di 1.000 euro che fa scattare l’obbligo di emissione di assegno non trasferibile.
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