D’ora in poi l’assegno di inclusione sarà collegato alla frequenza scolastica. Stop del beneficio se i figli non vanno a scuola.
Importanti novità per l’Assegno di inclusione: sarà addio per le famiglie dove i figli minori non assolvono all’obbligo di istruzione.
L’Assegno di inclusione non è solo una misura assistenziale, ma mira all’integrazione sociale e lavorativa dei cittadini più fragili. Anche per questo dovrebbe promuovere l’istruzione e la formazione. Senza contare che trattandosi di un sussidio economico offre un certo margine per incentivare comportamenti corretti.
Ed è per questa ragione che l’Adi verrà utilizzato per il contrasto alla dispersione scolastica, come previsto dal provvedimento firmato dai ministri del Lavoro e dell’Istruzione. L’Assegno di inclusione verrà tolto subito se i figli minori non andranno a scuola regolarmente e i percettori saranno sottoposti a un monitoraggio costante per verificare il rispetto dell’obbligo scolastico.
L’abbandono della scuola resta infatti un tasto dolente per il nostro Paese, con numeri preoccupanti anche tra i giovanissimi, con effetti diretti sull’occupazione. Arrivano quindi nuovi requisiti per continuare a percepire il sostegno, oltre ai criteri di reddito e composizione familiare già previsti.
Rispetto dell’obbligo scolastico per l’Assegno di inclusione
Il decreto attuativo del decreto legge n. 48/2023 firmato solo adesso dai ministri Calderone e Valditara subordina la percezione dell’Assegno di inclusione al rispetto dell’obbligo scolastico. I minori del nucleo familiare percettore dell’Adi devono frequentare regolarmente la scuola, altrimenti l’assegno verrà sospeso. Ovviamente ciò non significa che i figli non potranno fare assenze motivate da scuola, per esempio in caso di visite mediche o malattie, ma in generale la loro frequenza dovrà essere assidua e regolare. Un dato che dovrà essere confermato dall’istituto scolastico di riferimento, senza possibilità di eludere i controlli.
In particolare, per ogni nucleo familiare con minorenni percettore della misura, sarà incaricato un operatore sociale. Quest’ultimo curerà il Patto per l’inclusione sociale (Pais) e verificherà il rispetto della frequenza scolastica dei minorenni attraverso la piattaforma GePi, che serve proprio alla gestione dei patti sociali. In mancanza di informazioni online comunicate dagli istituti, i genitori (o tutori) saranno forniti a consegnare la documentazione relativa alla frequenza scolastica entro 10 giorni. Se la verifica non darà esito positivo, ci saranno 7 giorni di tempo per risolvere le criticità.
Nel Patto per l’inclusione sociale - che è obbligatorio sottoscrivere per ottenere l’Adi - sarà infatti previsto l’impegno di far riprendere la regolare frequenza scolastica ai minori entro una settimana dall’accertamento negativo. Tale circostanza dovrà ovviamente essere comprovata dalle informazioni rese dall’istituto scolastico, accessibili attraverso i servizi telematici o rese con documentazione apposita.
In caso contrario, l’Assegno di inclusione sarà sospeso dal mese successivo.
L’obiettivo, tuttavia, non è quello di limitare la percezione del beneficio, bensì di contrastare la dispersione scolastica. Ecco perché se il minore riprenderà la scuola e l’istituto ne confermerà la frequenza sarà riattivata l’erogazione del beneficio.
Per ogni nucleo familiare percettore saranno effettuati controlli mensili, al fine di sospendere o riprendere l’erogazione quando opportuno.
La dispersione scolastica è ancora un problema
La stretta sull’obbligo scolastico è motivata dal grave tasso di dispersione scolastica in Italia, uno tra i peggiori d’Europa. Secondo i dati aggiornati al 2023 dal ministero dell’Istruzione, dall’Istat e dall’Invalsi il tasso di abbandono scolastico è del 12,7% in media, con picchi in Sicilia, Puglia, Campania e Calabria.
La fascia di età più critica è quella tra 14 e 15 anni, ancora nell’obbligo scolastico, soprattutto nel passaggio dalle scuole medie a quelle superiori. I giovani fuggono principalmente dagli istituti professionali (7,7%), dagli istituti tecnici (4,3%) e dai licei (1,8%), con difficoltà più marcate per i minori stranieri nati all’estero. Al contempo, anche il tasso di Neet - giovani che non studiano e non lavorano - è in continua crescita, con una percentuale del 23%. In alcune Regioni, i Neet superano abbondantemente i coetanei occupati.
Questo fenomeno ha molteplice cause, ma soprattutto effetti collaterali gravissimi per tutta la collettività. La promozione dell’istruzione e dell’inserimento lavorativo sono indispensabili per la crescita sociale ed economica del Paese, ma anche per promuovere valori di uguaglianza ed equità tra i cittadini.
I dati confermano che proprio nelle famiglie più in difficoltà, con condizioni economiche più fragili e un livello di istruzione più basso rispetto alla media, i giovani sono più portati all’abbandono scolastico. Lo stesso vale per i figli di genitori che non lavorano o che hanno una professione non qualificata. Ecco perché collegare le politiche di inclusione sociale e i sussidi economici alla promozione dell’istruzione può rivelarsi una strategia molto efficace.
© RIPRODUZIONE RISERVATA