Amazon non può imporre la pubblicità ai clienti Prime. Lo dice il tribunale

Ilena D’Errico

19 Dicembre 2025 - 18:36

Amazon poteva aggiungere la pubblicità in Prime Video? Secondo questo tribunale no. Ecco cosa sappiamo.

Amazon non può imporre la pubblicità ai clienti Prime. Lo dice il tribunale

All’inizio ci si affidava ai servizi di streaming per usufruire di un catalogo ampio e saltare gli intervalli pubblicitari, ma oggi i vantaggi sembrano diminuire in modo proporzionale all’aumento dei prezzi degli abbonamenti. Non fa eccezione nemmeno il colosso di Bezos con la piattaforma Prime Video, che dall’anno scorso ha messo i suoi utenti davanti a una scelta: pagare di più l’abbonamento o sopportare le pubblicità durante la visione.

Si è trattato di una novità abbastanza spiacevole per i consumatori, pur spezzando una lancia in favore di Amazon che offre ulteriori servizi oltre allo streaming, per i quali arriva una piccola soddisfazione. Un tribunale ha dichiarato che Amazon non poteva imporre la pubblicità ai clienti, scatenando un’ondata di buonumore. Si pensa già a rimborsi, buoni sconto e riduzioni del prezzo, ma le cose non andranno proprio così. Ecco cos’è successo.

Secondo il tribunale Amazon non poteva imporre la pubblicità

Questa importante sentenza viene dal tribunale regionale di Monaco di Baviera, che si è pronunciato in tutela dei consumatori tedeschi colpiti dall’aumento di prezzo per l’abbonamento a Prime Video o, in alternativa, dalla pubblicità durante lo streaming. Secondo i giudici Amazon non avrebbe agito correttamente, imponendo unilateralmente una variazione del contratto che avrebbe richiesto il consenso dei clienti.

Una decisione che si muove entro i confini delineati dalla legge tedesca (nel prossimo paragrafo vediamo cosa è previsto in Italia), criticando duramente la piattaforma. In particolare, il tribunale monacense ritiene che l’assenza di pubblicità sia una caratteristica fondamentale del servizio offerto da Prime Video, come d’altro canto lasciano pensare i contenuti promozionali degli anni precedenti.

Oltretutto, Amazon è stata accusata di aver volontariamente lasciato intendere ai clienti di avere diritto a questa modifica del contratto, impedendo così loro di compiere una scelta informata. Di fatto, gli utenti hanno dovuto pagare 2,99 euro al mese in più (1,99 euro in Italia) oppure sopportare gli intervalli pubblicitari, senza ottenere chiarimenti completi e violando la legge tedesca sulla concorrenza sleale con le comunicazioni fuorvianti. Un esito che, ovviamente, non convince l’azienda, di cui un portavoce ha dichiarato ai media locali:

Pur rispettando la decisione del tribunale, non siamo d’accordo con le sue conclusioni. I clienti sono stati informati in modo trasparente, in anticipo e in conformità con la legge applicabile, dell’aggiornamento sulla pubblicità su Prime Video.

Bisogna quindi continuare a seguire gli sviluppi, perché Amazon può ancora impugnare la sentenza e non è possibile prevedere con certezza l’esito di un eventuale ricorso. In quest’attesa, tuttavia, bisogna ricordare due informazioni fondamentali. In primo luogo, la sentenza riguarda la Baviera (e non è vincolante nemmeno lì per il momento). In secondo luogo, il tribunale non ha comunque previsto rimborsi o sanzioni per Amazon, che è stata invitata semplicemente ad astenersi da ulteriori comunicazioni fuorvianti e a chiarire la questione in modo più completo e trasparente con nuove email agli utenti colpiti.

Cosa prevede la legge in Italia

Le variazioni contrattuali di questo genere non sono arrivate con Amazon, rappresentando piuttosto una costante nei rapporti con i consumatori, spesso nei contratti con gli operatori telefonici. In ogni caso, guardando le regole italiane pare che l’azienda abbia agito correttamente. Doveva infatti riconoscere agli utenti un adeguato preavviso, minimo 30 giorni, comunicando l’aumento di prezzo e permettendo loro, eventualmente, di disdire l’abbonamento senza penali o altre conseguenze.

In questo contesto l’inserimento della pubblicità si pone non come cambiamento di un elemento chiave dell’offerta (su cui comunque si potrebbero avere interpretazioni diverse, soprattutto considerando che l’abbonamento include molti altri servizi) ma come un’alternativa per non pagare di più.

Ciò è perfettamente lecito, se non vi erano vincoli legati al mantenimento di certe condizioni, poiché in tal caso l’azienda deve rispettarli (incluse eventuali penali). Anche in Italia, comunque, è richiesta una comunicazione scritta chiara e completa che, nel complesso, pare essere avvenuta. In altri termini: non speriamo in rimborsi per la pubblicità su Prime.

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