Il dollaro potrebbe perdere forza sotto i tagli Fed, ma la vera mina valutaria si nasconde nello yen: una divergenza che minaccia di ribaltare gli equilibri globali.
Il dollaro scricchiola sotto il peso dei tagli Fed, ma il vero rischio valutario non arriva da Washington: è Tokyo la miccia pronta a esplodere. In un contesto di mercati che si aspettano un ciclo prolungato di easing negli Stati Uniti, il Giappone torna a catalizzare l’attenzione globale.
La Bank of Japan ha confermato i tassi fermi allo 0,5%, ma con un board spaccato: 7 voti a favore della pausa, 2 contrari che chiedevano un rialzo immediato. Una spaccatura che segnala quanto sia ormai concreta la pressione interna a normalizzare la politica monetaria dopo oltre un decennio di ultra-accomodamento.
Sul fronte prezzi, l’inflazione headline è scesa al 2,7% grazie a sussidi pubblici, ma il dato core resta al 3,3%, sostenuto da salari robusti e consumi resilienti. In altre parole: la dinamica domestica non sta raffreddandosi e la BoJ rischia di restare indietro.
La reazione del mercato FX
Il cambio USD/JPY rimane vicino ai massimi storici, ma le proiezioni per il quarto trimestre mostrano una traiettoria opposta: yen in rafforzamento verso quota 145 già a ottobre e potenzialmente 140 entro fine anno. La divergenza fra aspettative sui tassi americani (in calo) e su quelli giapponesi (in potenziale rialzo) crea le condizioni per un riposizionamento improvviso degli investitori.
Il nodo degli hedge cost
Elemento tecnico ma cruciale: i costi di copertura valutaria per gli investitori giapponesi su asset USA sono già scesi e potrebbero toccare il 3% nei prossimi mesi. Questo rende molto più attraente il rimpatrio dei capitali.
In pratica, se il rendimento aggiustato per il rischio negli Stati Uniti si restringe, mentre il Giappone offre un contesto di tassi stabili o in salita, il flusso naturale tende a tornare in patria. Per un Paese con enormi asset detenuti all’estero, tra Treasuries e corporate bond, la riduzione di appetito può diventare un driver potente per il cambio.

Il rischio latente del carry trade
Il mercato valutario vive di equilibri sottili. La prospettiva che la BoJ inizi a stringere, mentre la Fed allenta, accende i fari sul carry trade. Molti operatori finanziari hanno per anni preso a prestito yen a basso costo per investirli in asset più redditizi altrove. Se il differenziale si restringe, quelle posizioni diventano vulnerabili a liquidazioni improvvise.
È una divergenza che fa riflettere: già nell’agosto 2024 un improvviso squilibrio legato al carry trade aveva provocato un vero shock di breve periodo, seguito però da un recupero ordinato dei mercati.
Il quadro globale
A livello macro, il vero rischio non è tanto la direzione delle singole banche centrali, quanto l’asimmetria dei cicli monetari. La Fed è entrata in una fase di easing, mentre la BoJ si trova sempre più vicina a un’inversione restrittiva. Questo squilibrio sui flussi valutari globali potrebbe amplificare la volatilità su scala internazionale.
Non è una prospettiva da temere, ma da monitorare con consapevolezza: in un mondo di mercati interconnessi, i movimenti di Tokyo possono avere un impatto persino più profondo di quelli di Washington.
Quindi?
Il dollaro oggi appare fragile, ma la vera incognita viene dallo yen. Non si tratta di creare allarmismo: la storia recente dimostra che anche shock improvvisi come quello dell’agosto 2024 sono stati assorbiti rapidamente dal sistema.
Queste dinamiche servono piuttosto a ricordare che il rischio valutario è parte integrante di ogni scenario d’investimento. Contestualizzare, non temere: questa è la chiave per attraversare i prossimi mesi, in cui la miccia giapponese potrebbe diventare la variabile più sorprendente del mercato globale
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