Aborto: dove è già vietato e dove lo sarà presto

Chiara Esposito

26/06/2022

27/06/2022 - 10:39

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Si delineano le prime conseguenze sui diritti riproduttivi dopo la sentenza della Corte Suprema Usa. Altre limitazioni però potrebbero essere già all’orizzonte.

Aborto: dove è già vietato e dove lo sarà presto

In tempi record, ma non c’è da stupirsi, iniziano a vedersi i primi dei molteplici effetti che il ribaltamento della storica sentenza “Roe v. Wade” avrà negli Stati Uniti e, forse, anche nel resto del mondo.

La decisione della Corte Suprema, attesa da molti e ampiamente prevedibile nei suoi esiti, demanda ai singoli Stati la regolamentazione sull’interruzione volontaria di gravidanza, spianando la strada a tutti quei provvedimenti che già da tempo preparavano il terreno a questa eventualità. Si chiamano «trigger laws» ed erano state pensate da molti Stati governati dai Repubblicani proprio per entrare in vigore subito dopo la decisione dei giudici.

Passando in rassegna i territori che le hanno redatte e possono ora applicarle, e quelli che a breve vareranno misure simili, possiamo facilmente ricostruire una mappa dei diritti riproduttivi nel quadro statunitense.

Ci sono però anche altre questioni che potrebbero divenire oggetto di revisione costituzionale; si parla di matrimonio tra persone dello stesso sesso ma anche dell’uso della pillola contraccettiva per le coppie sposate.

Se il clima politico che si respira nella prima potenza mondiale è questo, vien da chiedersi se potrebbero esserci ripercussioni anche su scala internazionale. Prima di provare a rispondere a questo interrogativo, ricostruiamo il quadro attuale degli Stati che negano l’aborto o che potrebbero negarlo a breve.

Aborto Usa: Stati anti-scelta e prossime abolizioni

9 stati degli Usa, non appena la sentenza della Corte è stata emessa, hanno provveduto ad abolire il già debole e compromesso diritto all’aborto nei loro territori. Le conseguenze immediate del rovesciamento della sentenza si sono viste in Kentucky, Louisiana e South Dakota. Ad attendere qualche ora in più, a seguito della certificazione ufficiale da parte dei procuratori, sono stati invece Arkansas, Missouri e Oklahoma, quest’ultimo da tempo interessato da normative al limite della criminalizzazione. Divieto anche in Alabama, Wisconsin e in North Utah, con la sola eccezione per questi ultimi due Stati nei casi di stupro, incesto e se la vita della donna è in pericolo.

Non si parla però di casi isolati di zone del Paese a maggioranza ultraconservatrice che si discostano con estremismo dal resto della nazione; anche altri 12 Stati federali sono pronti a seguire il tracciato e rendere illegale la pratica ed è questione di settimane, forse di giorni. Secondo una ricostruzione del New York Times, i prossimi divieti sono attesi in:

  • Mississippi;
  • Idaho;
  • North Dakota;
  • Arizona;
  • Alabama;
  • Arkansas;
  • Kentucky;
  • Missouri;
  • South Dakota;
  • West Virginia;
  • Wisconsin.

Ci sono però anche 9 Stati incerti, tra cui Pennsylvania, Kansas e Indiana che, se virassero a loro volta verso la limitazione di questo diritto, osteggeranno la libertà di scelta di 11 milioni di donne in età riproduttiva.

Non solo aborto, anche altri diritti a rischio

Secondo quanto spiegato dai giudici liberali alla Cnn, la Corte suprema americana potrebbe finire per ribaltare anche altre sentenze storiche. Il dibattito è agli albori ma è stato sollevato dalle recenti dichiarazioni del giudice conservatore Thomas Clarence che ha parlato di alcuni «errori da correggere» alla luce della dottrina dell’«originalismo» (ovvero l’interpretazione letterale del testo costituzionale).

Dalle ricostruzioni sembrano essere sotto attacco le istanze che garantiscono il matrimonio tra coppie dello stesso sesso e l’uso della pillola anticoncezionale.

La contraccezione per le coppie sposate invece è stata garantita sin dal 1965 tramite la sentenza “Griswold vs Connecticut” ma, data la sua stretta correlazione con la posizione anti-scelta incarnata dalla maggioranza conservatrice della Corte, questo mezzo potrebbe essere visto come un ostacolo all’applicazione delle norme attuali. Del resto, le organizzazioni contrarie al diritto all’aborto da anni tentano di dimostrare come le «pillole del giorno dopo» impediscano «a una vita umana di svilupparsi».

Aborto nel mondo: chi lo vieta o lo vieterà?

L’ultima prospettiva di incertezza che questa linea politica oppositiva alla libertà di scelta pone è quella di una possibile ripercussione su scala internazionale dell’abolizione del diritto all’aborto. Per approfondire però capiamo anzitutto in quali stati questo diritto è già vietato.

L’illegalità è conclamata in 23 Paesi che infatti non consentono l’aborto in alcuna circostanza, anche quando la vita o la salute della donna sono a rischio. Sono questi i casi di Andorra, Aruba, Congo (Brazzaville), Curaçao, Repubblica Domenicana, Egitto, El Salvador, Haiti, Honduras, Iraq, Jamaica, Laos, Madagascar, Mauritania, Nicaragua, Filippine, Palau, Senegal, Sierra Leone, Suriname, Tonga, Striscia di Gaza.

Il pericolo di vita è invece l’unica possibilità contemplata in 42 Paesi: Afghanistan, Antigua & Barbuda, Bahrain, Bangladesh, Bhutan, Brasile, Brunei, Cile, Costa D’Avorio, Dominica, Gabon, Gambia, Guatemala, Indonesia, Iran, Kiribati, Libano, Libia, Malawi, Mali, le Isole Marshall, Messico, Micronesi, Birmania, Nigeria, Oman, Panama, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Isole Salomone, Somalia, Sud Sudan, Sri Lanka, Sudan, Siria, Tanzania, Timor Est, Tuvalu, Uganda, Emirati Arabi Uniti, Venezuela, Yemen.

L’autorizzazione parziale, per motivi sanitari e terapeutici, riguarda infine 48 Paesi: Algeria, Angola, Bahamas, Benin, Bolivia, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Africa centrale, Chad, Colombia, Isole Comore, Costa Rica, Repubblica democratica del Congo, Gibuti, Ecuador, Guinea equatoriale, Eritrea, eSwatini, Ghana, Grenada, Guinea, Israele, Giordania, Kenya, Kuwait, Lesotho, Liberia,, Malesia, Mauritius, Marocco, Namibia, Nauru, Niger, Pakistan, Perù, Qatar, Corea del Sud, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Samoa, Arabia Saudita, Seychelles, Togo, Trinidad e Tobago, Vunuatu, Zimbabwe.

Con un fronte così nutrito di contrari e un’ondata politica anti-scelta in America dobbiamo aspettarci simili reazioni anche oltre oceano? Al momento sappiamo che in Europa le limitazioni sono in vigore a Malta e Cipro, in Polonia, nel Regno Unito (consentito fino a 24 settimane previo il parere positivo di due medici), ma anche presso San Marino, Liechtenstein e Monaco.

Uno degli Stati in cui però questo diritto è spesso osteggiato è l’Italia. Repubblica si è occupata di mappare gli ospedali che aggirano la legge 194 nella convinzione che anche vigilare sul rispetto dei diritti sia un modo per testare la bontà delle norme in vigore.

Ma l’illegalità e la criminalizzazione dell’aborto rendono davvero impossibile interrompere una gravidanza? Tendenzialmente la risposta è no, queste misure rendono la pratica soltanto più rischiosa per la salute di chi si sottopone ugualmente alle procedure poiché, senza la legittimazione giuridica, decadono gli obblighi sulle norme igienico-sanitarie da adottare e, per loro natura, gli aborti clandestini costituiscono un pericolo per la vita della madre.

Nei dati del 2019 del Guttmacher Institute si evidenzia bene come i circa 25 milioni di aborti clandestini annuali provocano la morte di 39.000 donne e l’ospedalizzazione di 7 milioni di loro per complicanze.

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