L’inventore del Bitcoin sarebbe un programmatore americano di 64 anni. Nel frattempo, il suo rivoluzionario strumento finanziario rischia di fallire miseramente
Un’inchiesta della giornalista del Newsweek Leah McGrath Goodman avrebbe rivelato l’identità dell’inventore del Bitcoin, la ormai famosa criptomoneta digitale.
Secondo la rivista, Satoshi Nakamoto sarebbe un programmatore americano di 64 anni, di origine giapponese, che vive in una casetta sulle colline di Los Angeles. Diciamo subito che il signor Nakamoto, da parte sua, ha negato di essere l’inventore di Bitcoin, e che per il giornalista Micheal Wolff (The Guardian) si tratterebbe di un fake.
Sull’identità del fondatore del sistema che ne sta alla base (definito geniale dagli addetti ai lavori dal punto di vista tecnologico) c’era da sempre una grossa X. Qualcuno aveva ipotizzato che dietro a quel nome giapponese si celasse una struttura alla Luther Blisset: uno pseudonimo che incarnasse solo un modo di agire e una comunità di valori.
“Ho avuto l’impressione che lo facesse per ragioni politiche”, ha detto a Newsweek Gavrin Andresen, principale sviluppatore del progetto Bitcoin, che ha intrattenuto una fitta corrispondenza con il suo creatore, senza mai incontrarlo di persona. In seguito, nel 2011, Nakamoto interruppe la corrispondenza e sparì nel silenzio.
L’inchiesta ha sollevato anche una questione “etica”: è giusto da parte di un giornalista d’inchiesta smascherare l’inventore di Bitcoin che ha cercato di rimanere anonimo?
Alcuni sostengono che rivelando la sua identità sarebbe più facile convincere la gente a fidarsi del “sistema Bitcoin”, altri temono che potrebbe compromettere la sua sicurezza personale, date le ingenti somme coinvolte. A proposito della questione sicurezza: e se fosse l’uomo sbagliato?
Va detto che il progetto Bitcoin, in realtà, non è neanche una sua personalissima creatura, essendo stata una comunità di appassionati, e l’insistenza nella ricerca della sua figura originaria potrebbe far passare in secondo piano anche questa componente collettiva.
Nel frattempo, quello che doveva essere lo strumento finanziario più rivoluzionario degli ultimi anni, sta rischiando di fallire miseramente, per la gioia di banche e istituti di credito tradizionali ai quali la fine della criptomoneta non dispiacerebbe affatto, perché Bitcoin ha sempre dichiarato guerra proprio alle banche, proponendosi come una modalità di pagamento anti-sistema.
Nelle ultime settimane è saltato fuori un problema pesante: Mt.Gox. La piattaforma di exchange giapponese, che al momento del suo crack era la terza al mondo per volume di scambi di bitcoin, ha dichiarato bancarotta, facendo ricorso al Chapter 15, un particolare capitolo del codice fallimentare americano che serve per facilitare la gestione dei casi di insolvenza che hanno a che fare con soggetti coinvolti in più di un Paese.
Il fallimento di Mt.Gox ha fatto letteralmente sparire migliaia di Bitcoin di proprietà di molti utenti: in valori reali, si tratta di una perdita di circa 345 milioni di euro.
Di recente, un gruppo di hacker ha violato i server di Mt.Gox: alcuni dati attesterebbero un elemento assai rilevante: Mt.Gox avrebbe nel suo caveau (in questi casi il condizionale è d’obbligo) un malloppo pari a un milione di Bitcoin.
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