Salvare la Grecia sbloccando aiuti miliardari o abbandonarla al suo destino chiudendo le casse? Questo interrogativo non trova pace e genera un’impasse che blocca tutto il processo decisionale dell’UE da mesi, gravando anche sui mercati. Due esperti spiegano le ragioni a favore dell’una e dell’altra ipotesi, concordando solo su una cosa: la stabilità dell’Eurozona è a rischio.
Hans-Werner Sinn, Presidente dell’Ifo Institute
Hans-Werner Sinn, noto economista tedesco, delinea un quadro economico europeo pregiudicato dalla crisi interna della Grecia, per la quale promuove un “abbandono temporaneo” dell’Eurozona, al fine di farla tornare “padrona” della propria politica monetaria, tentando di ridurre molti costi e riconquistare una certa competitività senza il “giogo dell’euro”.
D’altronde, “misure eccessive di austerity all’interno dell’Eurozona” non funzionano, anzi, in questo modo si paventa il rischio di una guerra civile. Hans-Werner Sinn considera sproporzionato l’aiuto che la Grecia sta ricevendo dall’UE. “Sarebbe molto più semplice se la Grecia uscisse dall’euro e tutti i debiti interni venissero cambiati in dracme”. L’economista delle “porte girevoli” dell’Eurozona appare ancora una volta contrario alla “politica di salvataggio” nei confronti dei Paesi più deboli, che rischiano di far precipitare nel vortice tutta l’Europa, visto che lo sforzo comunitario inciderà, inevitabilmente, anche sulla politica economica nazionale.
Moorad Choudhry, Royal Bank of Scotland
Moorad Choudhry, capo della divisione “business treasury, global banking & markets” della RBS, mostra un atteggiamento più morbido, volto a cancellare in toto il debito greco e ricominciare. Questa rappresenta l’unico soluzione per arrestare la contrazione dell’economia e accrescere le entrate fiscali. Secondo Choudhry è un dato inconfutabile che la Grecia strutturalmente non è adatta all’Unione monetaria, tuttavia il suo abbandono avrebbe un effetto negativo su tutto il sistema bancario ed economico dell’UE. La depressione che ne seguirebbe potrebbe durare un decennio. Infine invita a ragionare su un’unione fiscale prima di rendere praticabile un’unione monetaria di lungo termine.
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