La Spagna, il paese più grande dell’Eurozona tra quelli trascinati al vortice della crisi, nonostante le riforme promettenti non si risolleverà facilmente, scrive il The Economist. Il punto, spiega il giornale, è che mancano risorse utili alla crescita. Il governo spagnolo ha fatto molto, ma deve superare ancora tre grandi ostacoli che impediscono la ripresa economica, prima che l’appoggio popolare finisca. Ce la farà?
The Economist: la situazione in Spagna
Il pessimismo in Spagna è ormai tangibile. A circa due anni dall’inizio delle proteste nelle strade di Madrid, i giovani conosciuti come los indignados sembrano aver posato l’ascia di guerra e accettato con rassegnazione la sconfitta. Il governo di Mariano Rajoy è impopolare tanto quanto l’opposizione. E laddove molti altri paesi colpiti dalla crisi danno la colpa alla Germania, gli spagnoli riconoscono che quello che stanno pagando è il conto lasciato in sospeso dagli eccessi passati, specie per lo scoppio della bolla delle proprietà.
I numeri dell’economia
I numeri della Spagna sono tristi. L’economia è in recessione profonda e nei primi tre mesi dell’anno, il Pil si è contratto per il settimo mese di fila. Le finanze pubbliche sono in ristrettezza, con un deficit di bilancio pari al 7% del Pil. I titoli sulle obbligazioni di stato sono scesi, ma aumentano le difficoltà per le piccole imprese ad accedere al credito. Nel frattempo, la disoccupazione arriva al 27%.
La Spagna potrebbe essere il grande test dell’Euro. Già quattro paesi dell’Eurozona (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro) sono stati salvati dai programmi in accordo con la Troika del Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea. Ma la Spagna è l’unico grande paese membro dell’Euro che al bailout ci è andata molto vicina. Lo scorso anno, infatti, ha preso un’offerta a metà di 100 miliardi di euro forniti dal fondo di salvataggio Europeo per la ricapitalizzazione del settore bancario (ne ha presi 41 miliardi).
A differenza della Francia, la Spagna ha fatto importanti riforme strutturali. A differenza dell’Italia, ha un governo forte che conta sicuramente di durare fino alle prossime elezioni del 2015.
Sviluppi positivi
Ma un barlume di speranza si scorge anche dal buio. Grazie alla BCE, i tassi sui titoli di stato sono scesi ai livelli pre-crisi e il consolidamento fiscale ha portato il deficit di bilancio dall’11% del 2009, al 7% del Pil di quest’anno. Le spese eccessive delle regioni sono state messe sotto severo controllo. Infine, l’Unione Europea ha deciso di concedere due anni extra per raggiungere il target sul deficit al 3% del pil.
Anche il programma di riforme e ristrutturazioni inizia a dare i suoi frutti. Circa 38 istituzioni finanziarie sono state fuse, per lo più banche locali. Le banche restanti sono state ricapitalizzate e 50 miliardi degli asset peggiori sono stati trasferiti ad una bad bank, Sareb. Sono aumentate le misure contro i debiti insoluti e, a differenza di altri paesi in crisi, il settore pubblico è in ristrettezze: 375 mila posti di amministrazione statale sono andati.
Anche l’economia reale mostra segni di miglioramento. Come dimostra il grafico, misurando secondo il costo del lavoro per unità, la Spagna è il paese che ha fatto di più per riguadagnare competitività. La bilancia dei pagamenti esterna è passata da un deficit del 10% circa nel 2008, ad un surplus e non soltanto grazie alla riduzione delle importazioni.
Nel 2012 le esportazioni sono aumentate per più di ogni altro paese Europeo. Le riforme hanno reso più facile il licenziamento, così che l’industria fosse di nuovo pronta ad assumere. Questa flessibilità sul mercato del lavoro è una delle ragioni per le quali molte case di produzione automobilistica stanno decidendo di investire in Spagna.
Tre sfide per la Spagna
È evidente che si tratta di progressi limitati, inoltre esistono almeno altre tre grandi sfide sul fronte che potrebbero compromettere tutto.
La prima è il credit crunch. Nonostante il calo dello spread, il credito alle piccole e medie imprese continua ad essere scarso e con tassi proibitivi rispetto a quelli applicati nei paesi del nord. E anche se le condizioni migliorano, le banche stanno ancora avendo problemi per vecchi debiti insoluti alle imprese di costruzione. I prezzi degli immobili sono in calo di un terzo, e se la recessione dovesse continuare potrebbero subire una svalutazione dell’oltre il 50%.
Il secondo problema è la fatica richiesta dalle riforme. Gli spagnoli hanno accettato i cambiamenti, compreso il taglio agli stipendi: tutto per tornare a crescere. Ma gli viene chiesto un ulteriore sacrificio: le riforme sul sistema sociale, salario minimo inferiore per alcune regioni, favorire il micro-lavoro e quello parti-time, allargando l’età pensionabile. Non è chiaro ancora in che modo Rajoy intenda affrontare la situazione, ma senza queste riforme diventa difficile immaginare come possa scendere lo spaventoso livello della disoccupazione. Secondo i ministri, il mercato del lavoro è ancor più flessibile di quanto sembri, dopo il boom delle immigrazioni infatti, oggi si verifica l’esatto opposto: la popolazione sta diminuendo. Ma la disoccupazione sul lungo termine riduce la qualità della forza lavoro.
E poi c’è il terzo problema: la scarsità di domanda e la carenza di fonti per la crescita. Tra le spese pubbliche, i consumi e gli investimenti in ristrettezze, il governo fa solo affidamento sull’aumento delle esportazioni. Ma le esportazioni totali rappresentano per la Spagna meno di un terzo del Pil, e due terzi di questo sono esportazioni dirette all’eurozona. È difficile immaginare come un settore delle esportazioni più forte possa compensare alla carenza di domanda interna. Se la crescita del Pil non si dovesse riaccendere, i problemi delle banche spagnole e il cosiddetto "credit crunch" saranno di nuovo in agguato.
Cosa ne pensano i cittadini?
Luis de Guindos, ministro delle finanze spagnolo, lo scorso anno ha detto che la Spagna sarebbe stato il luogo in cui la battaglia per l’Euro si sarebbe combattuta. E le sorti della Spagna sono cruciali anche per il futuro dell’Unione Europea: il recente studio della Pew Research sull’opinione pubblica ha scoperto che l’appoggio all’Unione Europea è sceso di 34 punti in Spagna, dall’80% nel 2007 al 46%.
Se non ce la fa la Spagna, così Eurofila ed orientata alle riforme, può riuscirci qualcun altro?
| Traduzione italiana di Federica Agostini | Fonte: The Economist |
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