Il Tfr in busta paga conviene? E’ questo, a quanto pare, il dubbio più ricorrente da parte dei tanti italiani che potrebbero sperare di vedersi anticipata la liquidazione dello stipendio. E se l’intera operazione non sembra aver convinto i lavoratori (finora solo 6 su 100 hanno scelto questa opzione), a fare un po’ di conti sulla sua convenienza ci ha pensato direttamente la Fiba-Cisl: Il risultato? In tre anni un lavoratore può perdere fino a 10 mila euro. Ecco perché.
Tfr in busta paga: cronaca di un flop annunciato? A conti fatti, sembrerebbe proprio di sì; d’altronde, alla domanda “conviene davvero?”, la maggioranza degli interessati sembra aver risposto con un secco no. Secondo un sondaggio portato avanti dalla Swg per conto di Confesercenti, meno di due dipendenti su dieci avrebbero intenzione di optare per l’anticipo della liquidazione, e ad oggi risulta che appena 6 lavoratori su cento abbiano effettivamente scelto di incassare il Tfr.
Gli studi Fiba-Cisl: in tre anni si possono perdere fino a 10mila euro
A fare ulteriore chiarezza, ci ha pensato la Fiba-Cisl, attraverso specifiche simulazioni triennali sulle ricadute del Tfr in busta paga per un lavoratore dipendente con reddito medio di 25 mila euro lordi. A seconda dell’anzianità, le perdite denunciate sono impressionanti: rinunciando ai rendimenti possibili per chi lascia il Tfr in azienda, un cinquantacinquenne perderebbe 1044 euro, un quarantenne 3.140 euro e un venticinquenne addirittura 9.453 euro. Conti che peggiorano qualora il Tfr sia investito in un fondo pensione. La spiegazione è semplice: il Tfr in busta paga è più tassato e non offre rendimenti annui, a differenza dell’accantonamento in liquidazione.
In poche parole: un’operazione che di conveniente ha davvero poco, soprattutto se si considera che i soldi del Tfr in busta paga concorreranno alla formazione del reddito, rischiando di innalzare il livello Isee e di perdere, così, il diritto a numerose prestazioni sociali agevolate.
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