Uno sciopero generale del pubblico impiego è stato proclamato per venerdì 20 novembre: quali sono i servizi pubblici che rischiano di fermarsi? Di seguito tutte le informazioni.
Uno sciopero generale che coinvolgerà tutto il personale del pubblico impiego è stato proclamato per venerdì 20 novembre.
A promuovere la protesta è stato il sindacato USB Pubblico impiego in segno di protesta contro la Legge di Stabilità 2016 e contro gli aumenti che sono stati previsti per i lavoratori del settore pubblico che, secondo le previsioni, dovrebbero ammontare a 40 centesimi al giorno per un totale di 5 euro mensili.
Quali saranno i servizi pubblici a rischio stop nella giornata di venerdì 20 novembre? Quali sono le motivazioni della protesta?
Di seguito tutte le informazioni utili sullo sciopero del pubblico impiego.
Sciopero generale pubblico impiego venerdì 20 novembre: quali sono i servizi pubblici a rischio?
A causa dello sciopero generale indetto dai lavoratori del settore pubblico, venerdì 20 novembre saranno diversi i servizi pubblici che rischieranno di fermarsi.
Ad essere a rischio stop, tra tutti, sono infatti il trasporto pubblico, la sanità e la scuola; a rischio potrebbe essere anche il regolare funzionamento degli uffici pubblici.
I disservizi legati allo sciopero potrebbero inoltre coinvolgere anche le scuole e i nidi di infanzia comunali.
Nonostante lo sciopero, verranno in ogni caso garantiti i servizi pubblici essenziali come previsto dalle norme di legge sulla garanzia degli stessi. A rispettare i servizi pubblici essenziali saranno soprattutto le aziende sanitarie, gli ospedali e le strutture territoriali: saranno quindi garantiti i servizi di pronto soccorso e la gestione delle emergenze, mentre potrebbero subire interruzioni gli interventi programmati e prenotati.
Motivi sciopero generale pubblico impiego 20 novembre: il comunicato
Come già accennato all’inizio, lo sciopero del pubblico impiego indetto dal sindacato USB Pubblico impiego è stato promosso in segno di protesta contro quanto previsto nella Legge di Stabilità 2016.
Al centro della protesta, in particolar modo, le norme che riguardano la riforma dell’Università e gli aumenti salariali previsti per i dipendenti pubblici, considerati irrisori.
Di seguito la nota resa nota dal sindacato:
“Dopo 6 anni di blocco del rinnovo contrattuale e riduzione progressiva del salario accessorio, la Legge di Stabilità stanzia fondi per una media di 5 euro mensili lordi di aumento per i lavoratori pubblici: neppure sufficienti a coprire l’indennità di vacanza contrattuale. In sostanza, significa che tre milioni di dipendenti pubblici continueranno a non avere aumenti contrattuali nel prossimo triennio ed i carichi di lavoro aumenteranno, dato che è prevista la riduzione del turn-over al 25% del personale andato in pensione nell’anno precedente, annullando le già insostenibili percentuali stabilite dalla legge Masia (60% per il 2016 e 80% per il 2017). Gli Atenei che avevano fatto un piano triennale per stabilizzazioni e/o assunzioni dovranno dunque rivederlo al ribasso.
Per l’Università è prevista un’accelerazione del processo di riforma avviato con la Legge Gelmini, mantenendo il sottofinanziamento pubblico del sistema universitario. Il minuscolo incremento dei fondi continua a essere distribuito agli atenei con criteri falsamente meritocratici e solo per permettere carriere a un numero esiguo di docenti. Verranno forse ripristinati solo gli scatti salariali biennali dei docenti, sono previsti fondi e piani straordinari per i ricercatori, ma vengono aumentate le già alte differenze tra gli atenei, di fatto penalizzando carriere e stabilizzazioni del personale tecnico-amministrativo e bibliotecario. Situazioni che si protraggono ormai da troppi anni, causando aumento della precarietà e sotto-inquadramenti salariali lesivi della dignità dei lavoratori.
Inoltre la ventilata “Buona Università”, che prevede l’uscita dell’Università dalla Pubblica Amministrazione, è senza dubbio la manovra più pericolosa per il personale amministrativo e per gli studenti, trasformando i primi in un mero costo aziendale e limitando ulteriormente il diritto allo studio, già mal distribuito sul territorio nazionale.
Secondo l’USB P.I. Università è ora di reagire per la difesa dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, scioperando per dire no alla legge di stabilità: per rivendicare rinnovi contrattuali economici con aumenti veri, per il diritto allo studio, alla base dello stato sociale, pesantemente colpito dagli ultimi governi sottomessi alle politiche economiche imposte dall’Unione Europea.”
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