Riscaldamento globale: l’idea Carbon Pricing, come e perché tassare le emissioni di CO2

Andrea Tartaglia

12 Agosto 2019 - 10:00

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Tassare le emissioni di Anidride Carbonica (CO2) prodotta sarebbe un ottimo strumento per per contenere il riscaldamento globale entro il limite di 2°. Cosa fanno i vari paesi?

Riscaldamento globale: l’idea Carbon Pricing, come e perché tassare le emissioni di CO2

Il riscaldamento globale è una delle emergenze del nostro tempo, una battaglia difficile da combattere perché gli interessi in gioco sono tanti. E soprattutto perché è una battaglia molto costosa, che implica cambiamenti radicali non solo nelle scelte strategiche dei governi.

Quasi tutte le nostre azioni quotidiane hanno un impatto più o meno grande sull’ambiente: la scelta del cibo da mangiare, la climatizzazione della nostra casa o del nostro ufficio, il modo in cui ci spostiamo in città o fuori sono solo alcuni esempi di azioni che comportano l’emissione dell’atmosfera di anidride carbonica.

Stiamo parlando di un gas “climalterante”, che ha effetti cioè sull’ambiente andando a modificare il clima. Il motivo è il cosiddetto “effetto serra”: l’emissione di gas crea una cappa negli strati alti dell’atmosfera, comportandosi come le serre in agricoltura e contibuendo all’aumento delle temperature.

Tassare le emissioni di CO2 per ridurre il riscaldamento globale

Tra le azioni possibili per ridurre le emssioni di CO2 in maniera significativa e contenere il riscaldamento globale entro i 2° C - o meglio ancora, limitarlo a 1,5° C - come stabilito dell’Accordo sul Clima di Parigi, prende corpo l’idea di tassarle. Se le emissioni di CO2 avessero un costo, molte attività diventerebbero più care: viaggiare, riscaldare gli edifici, ma anche mangiare.

Tassare le emissioni di CO2 è una delle idee considerate più rapide ed efficienti per proteggere l’ambiente. E, secondo gli esperti, fissare un prezzo globale per le emissioni di anidride carbonica sarebbe un ottimo strumento per raggiungere l’obiettivo.

Quanto vale una tonnellata di CO2?

Il principio è semplice: assegnare un valore a una tonnellata di CO2, per esempio 30 euro. Non importa se viene prodotta in un’azienda, in un appartamento, nel traffico o nei campi: il valore rimane quello. Ovviamente, seguendo questo concetto, tutti i combustibili fossili diventerebbero più costosi.

In Europa esiste già un modello del genere, si chiama “Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’UE” (in inglese, Emissions Trading System, EU ETS) e riguarda solamente il comparto energetico e alcuni stabilimenti del settore industriale.

Questi devono certificare ogni tonnellata di anidride carbonica prodotta, che ha un valore attuale di 25,84 euro. Le discussioni sull’argomento sono molte, e alcuni Paesi hanno già introdotto varie versioni del cosiddetto carbon pricing. Vediamo alcuni esempi citati da una ricerca di Volkswagen AG.

Svizzera

Oltre al sistema per lo scambio delle quote di emissioni a livello nazionale, dal 2008 in Svizzera c’è una tassa di incentivazione che riguarda l’olio combustibile, il metano e il carbone. All’inizio ogni tonnellata di CO2 valeva circa 8 Euro, mentre oggi si è saliti fino a circa 86 euro.

I due terzi delle tasse riscosse con questo metodo tornano alla cittadinanza attraverso il sistema di assicurazione sanitaria, che riconosce la stessa somma a ogni assicurato. La somma rimanente è utilizzata per incentivare la ristrutturazione efficiente degli edifici.

Svezia

In Svezia le tasse sulla CO2 sono state introdotte nel 1991, nell’ambito di una riforma del sistema fiscale. È stata la prima nazione ad applicare una tassazione ai combustibili fossili, all’energia e alla produzione industriale. Gli anni seguenti hanno visto una diminuzione delle emissioni e una crescita dell’economia.

In principio la carbon tax era pari a 24 euro per tonnellata di CO₂, mentre oggi è arrivata a 114 euro, il prezzo più alto al mondo. Grazie a queste misure, la Svezia è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di essere carbon neutral entro il 2045 .

Francia

I francesi tassano le emissioni di CO2 in base ai guadagni e secondo la Banca Mondiale hanno il sistema più completo. Al momento dell’introduzione, nel 2014, il cosiddetto “contributo sul clima” valeva 7 euro per ogni tonnellata di CO2. Oggi il costo è salito fino a 44,60 euro.

Considerando che la Francia produce molta più energia con il nucleare che con il carbone, il suo costo è solo di poco più alto e le tasse non hanno un grande impatto sui trasporti. L’ultimo piano di aumenti è stato annullato dopo le violente proteste del movimento dei gilet gialli, ma con le entrate derivate dall’attuale tassazione il governo francese sostiene l’espansione delle fonti di energia rinnovabile.

Nelle scorse settimane, inoltre, è stata annunciata l’intenzione di introdurre una tassa ambientale sui biglietti aerei, che andrà da 1,50 Euro per ogni volo in Europa in classe economica a 18 Euro per voli intercontinentali in business class.

Regno Unito

Il Carbon Price Floor (CPF) è stato introdotto nel 2013 nel Regno Unito e si è andato a sommare al sistema europeo per lo scambio delle quote (EU ETS) con un sovrapprezzo minimo per la CO2 che comunque ha superato quello medio stabilito dall’Unione Europea.

Per salvaguardare la competitività delle industrie ad alta domanda energetica, nel 2015 questo valore è stato fissato a circa 20 euro, e rimarrà tale fino al 2020. Nonostante si tratti di un prezzo piuttosto basso rispetto a quello di altri Paesi, alcune centrali a carbone hanno chiuso e sono state sostituite con impianti a gas.

Germania

In Germania le emissioni annue pro capite di CO2 ammontano a 9,6 tonnellate - il doppio rispetto alla media internazionale. Nel pacchetto sul clima dell’UE, la Germania si era impegnata a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 40% rispetto al 1990 entro il 2020.

L’obiettivo non sarà raggiunto, la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso il sistema di scambio delle quote (EU ETS) non è riuscita. Si pensa quindi di integrarlo con un prezzo minimo nazionale per la CO2, sul modello del Regno Unito.

USA

La California è stato il primo stato USA ad attivare, nel 2013, un piano per lo scambio delle quote di emissione di CO2 e il suo ETS (Emissions Trading System) è il secondo al mondo per volumi, dopo quello dell’Europa. Anche in questo caso le emissioni vengono certificate e l’obiettivo di tornare ai valori di anidride carbonica del 1990, inizialmente fissato per il 2020, è stato raggiunto già nel 2016.

All’inizio una tonnellata di CO2 valeva meno di 8 euro, una cifra che nel 2018 è salita a 13 euro. Il programma di scambio copre circa l’80% delle emissioni di gas serra in California, mentre l’omologo europeo arriva al 45%.

Cina

La Cina produce più di un quarto delle emissioni globali di CO2 e ha presentato il proprio sistema nazionale di scambio delle quote alla fine del 2017, per attivarlo nel 2020. Inizialmente riguarderà solo le centrali elettriche che producono più di 26.000 tonnellate di CO2 all’anno. Si tratta di circa 1.700 stabilimenti, responsabili di quasi il 30% delle emissioni di tutta la Cina.

Nel primo periodo di attivazione del sistema di scambio, i certificati saranno gratuiti. Per individuare la formula giusta per gli scambi, dal 2013 sono stati attivati progetti pilota - con profili diversi - in 7 città, che almeno in una fase iniziale continueranno ad essere effettivi parallelamente al piano nazionale. Pur coinvolgendo esclusivamente il settore energetico, il sistema di scambio cinese sarà il più ampio al mondo.

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