Niente da fare per la flessibilità in uscita che avrebbe dovuto consentire la pensione anticipata a molti lavoratori italiani, un intervento organico di riforma delle pensioni non sarà possibile perché mancano le coperture economiche.
Ve la ricordate la nonna di cui ci aveva parlato il premier Renzi qualche mese fa, quella nonna che avrebbe potuto scegliere di passare più tempo con i propri nipoti e passarne di meno sul posto di lavoro, richiedendo la pensione anticipata a fronte di una riduzione più o meno elevata dell’assegno pensionistico?
Ecco, quella nonna potete anche dimenticarvela o, al limite, ricordarla come una delle tante favole che ci sono state raccontate dai nostri governanti, dal momento che inizia a venire a galla la triste verità con cui dovrà fare i conti la riforma delle pensioni, con la correlata possibilità di attuare la pensione anticipata con flessibilità in uscita, come molti altri interventi di riforma.
Non ci sono le necessarie coperture economiche per varare un intervento organico di riforma delle pensioni che consenta l’uscita anticipata dal lavoro a 62 anni a fronte di una riduzione dell’importo dell’assegno pensionistico (l’ipotesi in campo, più accreditata era quella di ridurlo del 3% per ogni anno di anticipo rispetto ai 66 anni previsti dalla riforma Fornero).
Ma andiamo con ordine e vediamo come si è giunti a questa conclusione e quali sono state le reazioni dei principali attori politici.
Riforma delle pensioni: l’evoluzione del provvedimento
La notizia di un possibile blocco della riforma delle pensioni si sarebbe diffusa a seguito delle registrazioni del programma Porta a porta di ieri, durante le quali il Premier Renzi ha affermato che
"Leggo che ci siamo fermati sulla flessibilità pensionistica ma non siamo nemmeno partiti, per un principio di buon senso (...) Si annuncia una cosa sulle pensioni quando si è sicuri di farla, spererei di farlo comunque nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, io sono fiducioso su questo"
Già in questo passaggio emerge un grosso rischio: quello che la riforma delle pensioni possa essere destinata a un futuro non troppo determinato e, forse, neanche troppo vicino. Se, infatti si trattasse delle prossime settimane l’intervento potrebbe rientrare nella Legge di Stabilità 2016, se si trattasse, invece, dei prossimi mesi, la riforma delle pensioni slitterebbe al 2017 o forse anche oltre.
Pensione anticipata e flessibilità in uscita: il problema delle coperture
In un altro passaggio Renzi ha chiarito anche qual è il vero problema con cui si sta confrontando l’Esecutivo:
"Dobbiamo trovare un meccanismo per cui chi vuole andare un po’ prima in pensione prendendo un po’ meno soldi possa andarci, ora dobbiamo vedere quanto prima e quanti soldi (...) per lo stato l’intervento deve essere a “somma zero”"
Il problema sono, appunto, i soldi o quelle che, in termini di bilancio dello Stato, si definiscono coperture economiche. Già negli scorsi mesi, infatti, era stato notato da più parti che l’ipotesi della pensione anticipata con flessibilità in uscita sarebbe stata troppo gravosa per i conti dello Stato a meno che non si fossero introdotte penalizzazioni molto pesanti. Negli scenari peggiori si era arrivato a ipotizzare una riduzione dell’assegno pensionistico anche del 30%.
Senz’altro inopportuna un’altra affermazione rilasciata dal Premier nel corso della trasmissione:
"Io offrirei agli italiani una possibilità: se siete disponibili, si può introdurre flessibilità ma per lo stato deve essere a somma zero. Lo stato non deve guadagnarci ma non avere esborso maggiore, per non penalizzare le nuove generazioni. Sono ottimista su questo"
Una possibilità che ha un po’ il sapore di un patto (o di un ricatto) con gli italiani in cui, in definitiva, viene proposto a questi ultimi di ottenere una pensione da fame, pur assegnandogliela prima.
Non sono tardate ad arrivare le forti critiche dei sindacati ma anche di Confindustria, preoccupata per l’impossibilità di mettere in atto quel tanto sospirato ricambio generazionali di cui l’Italia necessiterebbe per ripartire davvero.
Anche se il Premier ha cercato di smorzare i toni, che la riforma delle pensioni sia rimandata a data da destinarsi sembra essere confermato anche da quanto affermato, poco prima, sempre nella giornata di ieri, dal Viceministro dell’Economia Enrico Morando che, intervistato da Adnkronos, aveva posto la questione negli stessi termini spiegando che la flessibilità in uscita potrà essere attuata solo se non richiederà uno spostamento aggiuntivo di risorse nella previdenza e sarà, quindi, a costo zero per il bilancio pubblico.
Per quanto riguarda la prossima Legge di Stabilità secondo Morando non era prevista nessuna riforma delle pensioni (e le promesse roboanti che abbiamo sentito nei mesi scorsi?) e dei 25 mld che saranno mobilitati, 16 serviranno per rimuovere le clausole di salvaguardia, 4,5 mld per l’abolizione di IMU e Tasi e i rimanenti per favorire interventi per il Sud e lo sviluppo.
Chiaro, quindi, che oltre ad essere necessario più tempo per mettere a punto l’intervento, il problema vero rimane quello delle risorse mancanti, un nodo, quest’ultimo, che, alla luce dell’andamento del debito pubblico, richiederà decenni per essere sciolto, nella migliore delle ipotesi.
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