Il premier Matteo Renzi, dopo aver respinto la webtax nel 2014, parla ora di digital tax sollevando subito polemiche. Vediamo cos’è la digital tax e come dovrebbe funzionare.
La digital tax annunciata da Matteo Renzi durante la trasmissione televisiva “Otto e mezzo” in onda su LA7 ha lo scopo di tassare, a partire da gennaio 2017, i redditi prodotti in Europa dai big del digitale come Apple, Google, Amazon che vantano un certo fatturato in Italia.
Ecco cos’è la digital tax e cosa prevede la nuova tassa annunciata dal premier Renzi.
Cos’è la digital tax?
La digital tax è una proposta che mira ad istituire una tassa sulle transazioni delle multinazionali che fatturano in Italia pur non avendo una sede sul territorio nazionale.
Il Premier ci tiene a precisare che non si tratta di una vera e propria tassa, ma rappresenta un valido strumento per contrastare l’elusione fiscale nelle transazioni telematiche e di conseguenza creare condizioni favorevoli ad un commercio online più equo e giusto.
E’ probabilmente sulla scia di una proposta di legge presentata il 27 aprile da Stefano Quintarelli e Giulio Cesare Sottanelli che nasce la digital tax, anche se non molto chiare sono le intenzioni del Premier riguardo al testo del disegno di legge da presentare.
Digital tax: come funziona
La digital tax, in base a quanto affermato fino ad ora, attua un intervento sugli acquisti online applicando una ritenuta alla fonte del 25% sulle transazioni delle multinazionali che dall’estero erogano servizi in Italia.
La manovra non è rivolta a tutte le imprese, ma soltanto quelle che hanno fatturato all’Italia almeno 5 milioni di euro in più di un semestre.
Questa misura non verrà applicata a quelle imprese che però hanno sede in Italia o hanno stipulato accordi con il fisco italiano, infatti l’obiettivo è tassare le imprese che non hanno una sede stabile nel nostro Paese.
La digital tax ha una speranza, secondo Renzi, perchè a differenza della web tax proposta da Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera, e bloccata nel 2014 dal Premier, non limita le piccole e medie imprese poiché non impone l’obbligo di apertura della partita iva italiana per la vendita di servizi e-commerce né l’acquisto del search advertising visualizzabile sul territorio attraverso partita iva italiana e rintracciabile.
La digital tax poi non colpisce tutte le imprese che compiono transazioni digitali, ma solo quelle che, anche se tradizionali, raggiungono un certo fatturato dalla vendita online in Italia.
Digital tax: la Commissione Europea chiede di aspettare
“Stiamo aspettando da due anni che ci sia una legge europea” queste le parole di Matteo Renzi, come a sottolimeare che se l’Europa resta ferma l’Italia decide invece di prendere provvedimenti al riguardo.
L’Ue da tempo parla della necessità di contrastare l’elusione fiscale dei big del digitale attraverso l’introduzione di una tassa sulle transazioni online, ma seppure l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sia a lavoro ad oggi ancora non c’è un piano definitivo.
La Commissione europea, dopo l’annuncio di Matteo Renzi chiede all’Italia di aspettare e di non avviarsi da sola per ciò che attiene alla politica sulla tassazione e l’elusione fiscale del commercio online.
La Commissione ricorda che:
le iniziative dei singoli Stati sulla tassazione delle digital companies possono aggravare la frammentazione del mercato digitale europeo, seppur fiduciosa che l’Italia rispetterà gli impegni assunti in sede Ocse con il rapporto Beps (Base Erosion and Profit Shifting) nonché nei Trattati che ribadiscono i principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali.
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