Recupero crediti: per la Cassazione chiamare insistentemente il debitore integra la molestia

Isabella Policarpio

8 Luglio 2019 - 10:43

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Le agenzie di recupero crediti non possono chiamare insistentemente il debitore insolvente. Per la Cassazione si tratta del reato di molestia e disturbo.

Recupero crediti: per la Cassazione chiamare insistentemente il debitore integra la molestia

Il recupero crediti non giustifica le telefonante insistenti al debitore. Infatti questa condotta integra una vera e propria molestia, quando la condotta degli agenti alla riscossione è insistente e causa un motivo di stress.

La decisione proviene dalla sentenza n. 29292 del 2019 della Corte di Cassazione, nella quale un’agenzia di recupero crediti viene condannata per molestie, per aver telefonato in modo insistente (a tutte le ore del giorno) un debitore a causa del mancato pagamento di alcune bollette.

La condotta degli agenti alla riscossione integra a pieno titolo l’articolo 660 del Codice Penale, pertanto l’agenzia è stata condannata al pagamento delle spese del procedimento, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende e al risarcimento danni, per un totale di 3.000 euro.

Recupero crediti: le telefonante insistenti al debitore possono integrare una molestia

Il recupero crediti non giustifica le telefonate insistenti e continue nei confronti del debitore. Infatti, la Corte di Cassazione ha recentemente stabilito che questa condotta deve considerarsi una molestia, ex articolo 660 del Codice Penale. La ragione è che le telefonate insistenti, spesso anche in orari poco consoni, provocano un vero e proprio stato di stress al debitore, turbando il normale svolgimento della sua vita privata e lavorativa.

La decisione prende spunto dal ricorso presentato da un’ agenzia di recupero crediti che, per circa 2 mesi, aveva stressato con telefonate continue un ex cliente, dopo la chiusura del contratto per la fornitura energetica. I giudici della Cassazione si sono espressi in questo modo:

"Nel caso di specie, appare indubbio che l’illiceità dell’azione posta in essere con il decisivo concorso di SDR è derivata dalla scelta, presumibilmente compiuta dalla governance aziendale, di ricorrere ad insistite e pressanti iniziative finalizzate al recupero del credito, così anteponendo gli obiettivi di profitto al rispetto dell’altrui diritto al riposo ed a non essere disturbati, ciò che integra il biasimevole motivo richiesto dalla norma incriminatrice; il Tribunale, del resto, è esplicito nell’attestare, sul punto, che già l’elevata frequenza delle telefonate quotidiane risponde alla nozione di petulanza richiesta dalla disposizione applicata. Non può allora dirsi, conclusivamente, che il Tribunale sia incorso, in proposito, nell’evocato deficit motivatorio, avendo il giudice di merito spiegato, sia pure sinteticamente, che DR era sicuramente a conoscenza delle violazioni dei codici interni di comportamento, ciò che vale a qualificare il suo contegno in termini quantomeno colposi ed attesta la manifesta infondatezza della deduzione sottesa all’impugnazione."

Altri dettagli nel testo della sentenza allegato:

Corte di Cassazione, sentenza numero 29292 del 2019
Clicca qui per prendere visione del file

Quando il recupero crediti è molestia: i motivi della Corte di Cassazione

Dunque, nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha condannato l’agenzia per il recupero crediti per molestia e disturbo, stabilendo a suo carico il pagamento delle spese processuali, la rifusione delle spese legali in favore del debitore ed il risarcimento danni, per un totale di 3.000 euro.

In particolare, l’agenzia aveva stressato per circa due mesi, con una media di 8 - 10 telefonate al giorno, un debitore per il pagamento di alcune bollette dell’elettricità, dopo la risoluzione del contratto.

A convincere gli ermellini sono stati sia la quantità di telefonante giornaliere che la fascia oraria in cui venivano effettuate, ovvero in orari in cui il debitore era intento allo svolgimento della propria attività lavorativa oppure della vita privata privata (ad esempio durante i pasti). La Corte ha individuato la condotta come una policy aziendale volta al recupero dei crediti e, di conseguenza, non ha applicato l’esclusione di punibilità per “tenuità del fatto”, prevista dall’articolo 131 bis del Codice Civile.

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