Coronavirus Milano: il problema non è andare, ma tornare

Flavia Provenzani

24/02/2020

26/02/2020 - 17:31

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Quanto è pericoloso vivere, lavorare, viaggiare da e per Milano dato i molti casi di coronavirus scoperti negli ultimi giorni?

Coronavirus Milano: il problema non è andare, ma tornare

Andare a Milano o viverci oggi, con l’epidemia di coronavirus che dilaga, quanto è davvero pericoloso?

Il coronavirus è arrivato in Italia, portando con sé un’ondata di panico dalle proporzioni indescrivibili. Non aiuta che il focolaio più grande sia a Milano e dintorni, il cuore pulsante della nostra economia, dove decine di migliaia di persone si sono trasferite per lavorare, facendo avanti e indietro periodicamente dal capoluogo lombardo alla propria città o paese di origine, dove in molti si recano per lavoro anche per solamente un giorno, dove si svolgono gli eventi a più alto interesse a livello nazionale, dalla Milano Fashion Week al Salone del Mobile a decine e decine di eventi artistici e di settore.

La stazione centrale di Milano è un crocevia di chi arriva e chi va e, senza creare inutili allarmismi, è ragionevole pensare che l’arrivo del coronavirus al Centro e al Sud Italia sia solo una questione di giorni. Non c’è quarantena che tenga.

Tanti tra chi lavora a Milano hanno paura, e tanta, del coronavirus e delle sue inevitabili conseguenze. Paura di ammalarsi e non avere nessuna persona cara vicina in caso di ricovero o quarantena, paura di andare a lavorare e salire su una metropolitana, paura di prendere il treno che li riporterebbe finalmente a casa, paura di perdere il lavoro, paura di imporsi con il datore di lavoro e dire che, no, non si è più disposti a lavorare con il pubblico a causa del rischio di contagio.

Ci sono due modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura” diceva Napoleone Bonaparte, e così è: Milano e il coronavirus stanno facendo tenere il fiato sospeso non solo ai milanesi, ma a tutti i “fuori sede” che vi lavorano, alla filiera imprenditoriale legata alla città e a tutti coloro che hanno una persona cara residente nella zona lombarda. Interesse personale e paura messi insieme: una bomba a orologeria.

È pericoloso andare a Milano ora?

Se ti serve che qualcuno ti dica di non andare a Milano - qualunque sia il motivo - in questi giorni, lo hai trovato. Non andare, almeno per il momento. Il paziente zero, che ha causato il contagio nella zona, non è ancora stato trovato, non sappiamo dove sia oggi. E, sempre al momento, non è dato conoscere la potenza e la portata del contagio.

Oppure, se proprio vuoi andare, non tornare. È un dovere civico nei confronti delle persone che frequentiamo ogni giorno e nei confronti della nostra città. Ed è qui che la questione si fa spinosa: negli ultimi giorni in molti sono scappati da Milano e dal Nord Italia, ritornando nella propria città di origine, per non correre il rischio di rimanere bloccati in quarantena e ritrovarsi malati e soli. Senza alcuno screening, senza avvisare le autorità. La Basilicata è stata l’unica Regione a mettere in quarantena tutti i soggetti rientrati e provenienti dalle zone di rischio.

Il problema non è andare a Milano, ma tornare

Come ti sentiresti tu, lavoratore fuori sede a Milano, tornato nel tuo paesino per paura del coronavirus, se contagiassi tua nonna novantenne che, a differenza tua, non può essere in grado di sopportare una brutta polmonite?

Parliamoci chiaramente, una volta per tutte: tutti noi abbiamo un dovere civico e morale, ancor più in situazioni tese e allarmanti come questa, di avere cura del bene del nostro prossimo, evitando quegli egoismi che, tra l’altro, possono anche ledere noi stessi.

Per tornare da Milano si usano spesso arei, treni, bus: così, centinaia di persone potrebbero essere state contagiate dal coronavirus contemporaneamente, facendo potenzialmente schizzare il numero di contagiati alle stelle.

Il vero pericolo del coronavirus è la simultaneità

Il rischio più grande oggi è quello di sottovalutare la situazione. Il coronavirus è una banale influenza per molti, ma non per tutti. Nel circa il 20% dei casi è necessario il ricovero, il 5% in terapia intensiva. E non c’è bisogno di ricordare, spero, la situazione in cui versano alcuni ospedali nostrani, soprattutto al Sud.

Tutto si giocherà sulla simultaneità dei casi: se migliaia di persone si ritroveranno ad aver bisogno della terapia intensiva tutte nello stesso momento, come farà il sistema sanitario ad affrontare la situazione a salvaguardia di ognuno?

Abbiamo tutti un po’ di serietà per favore.

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