Come funzionano davvero il quantitative easing (QE) e il quantitative tightening (QT) e quale reale impatto hanno questi due strumenti di politica monetaria in mano alle banche centrali?
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un cambio piuttosto repentino della politica monetaria delle principali banche centrali delle economie più sviluppate.
Abbiamo già scritto di come siano aumentati i tassi di interesse e del perché questi aumenti non siano ancora finiti. Ma questo non è stato l’unico cambiamento nella politica monetaria.
Infatti, quasi tutte le banche centrali sono passati da programmi di quantitative easing (QE) al cosiddetto quantitative tightening (QT). Ma cosa sono in sintesi QE e QT? Quali sono le differenze e le implicazioni che questi due schemi di politica monetaria hanno sull’economia? Cerchiamo di rispondere a questi interrogativi.
Il Quantitative Easing (QE)
Cominciamo col dire che dare una definizione univoca di cosa si intenda per quantitative easing, letteralmente alleggerimento quantitativo, è forse impossibile. In gergo economico si parla di quantitative easing quando una banca centrale mette in atto uno o più interventi nel mercato finanziario al fine di acquistare asset finanziari, generalmente titoli di stato ma non solo, emettendo nuova moneta e col fine ultimo di stimolare l’attività economica.
Dopo la seconda guerra mondiale gli interventi delle banche centrali nei mercati finanziari erano all’ordine del giorno, ma questo trend si invertì a partire dagli anni ’80 con l’avvento della nuova teoria macroeconomica neoliberista e della graduale indipendenza delle banche centrali dai governi. Nell’ultimo ventennio il termine «quantitative easing» viene coniato in Giappone. Lo stato nippolico, infatti, per cercare di uscire dalla deflazione, nel 2001 triplica il limite mensile che la Bank of Japan, la banca centrale, poteva fare per acquistare titoli di stato a medio-lungo termine. Da 400mln di yen passarono a 1,2 miliardi. In aggiunta, alle banche commerciali vennero concessi prestiti sempre più a lungo termine e a basso costo, facendo così aumentare a dismisura i conti di deposito delle stesse banche commerciali presso la banca centrale.
In seguito, programmi di quantitative easing vengono introdotti dalla Federal Reserve, la banca centrale americana e dalla Bank of England.
Arrivando ad oggi, l’unica banca centrale che continua imperterrita col suo programma di ultra-quantitative easing è quella giapponese. Infatti, la Bank of Japan adotta ciò che si chiama yield curve control – controllo della curva dei rendimenti - cioè acquista talmente tanti titoli di stato da fissare il tasso d’interesse per tutti i rendimenti a medio lungo termine al livello desiderato e predeterminato. In questa fase di alta inflazione, però, molti investitori iniziano a non credere più alla capacità della Bank of Japan di mantenere i tassi al livello determinato e dunque, paradossalmente, costringono la banca centrale giapponese ad acquistare ancora più debito rispetto al passato.
Il QE della BCE
La BCE inizia conducendo un piccolo programma di acquisto di titoli di stato nel 2011, chiamato SMP, che imponeva però la sterilizzazione settimanale della liquidità creata e quindi non si può considerare un vero programma di espansione della base monetaria. L’anno successivo, BCE avvia una serie di prestiti a lungo periodo per le banche del vecchio continente, ma è ufficialmente l’ultima ad aderire alla politica del quantitative easing soltanto nel 2015. Questo per via della forte resistenza dei Paesi del nord Europa, Germania in primis, che si appellavano all’articolo 123 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che vieta «l’acquisto diretto presso di essi [gli stati, ndr] di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali».
Draghi riuscì dopo anni a vincere le resistenze del nord principalmente per tre motivi:
- in primis tutte le banche centrali stavano già conducendo programmi simili da tempo,
- in secondo luogo la banca centrale non acquistava titoli di debito direttamente dagli stati, cioè all’asta di emissione, quindi formalmente l’articolo 123 veniva rispettato,
- in ultima analisi, Draghi si appellò al fatto che il dato sull’inflazione fosse da troppo tempo sotto la soglia del 2%, bisognava provare a far qualcosa di nuovo.
Così nel 2015 anche la BCE fece partire un programma di 60 miliardi di euro al mese di acquisto di asset finanziari chiamato asset purchase programme (APP). Questi miliardi vanno sono in gran parte direzionati verso i titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona, a parte la Grecia, che forse era il Paese che ne aveva più bisogno ma che fu unilateralmente esclusa dal programma. Destò qualche polemica il fatto che BCE acquistasse, oltre ai titoli di Stato, anche obbligazioni di grandi aziende multinazionali, di fatto contribuendo ad abbassare i costi di finanziamento per le stesse.
L’effetto principale delle politiche di QE si può rivedere nel bilancio della banca centrale, che aumenta vertiginosamente in questi anni: da un lato aumentano le attività (i titoli comprati) e dall’altro le passività (le riserve create).
I vantaggi del QE
Passando a valutare gli aspetti positivi, possiamo asserire che il quantitative easing aiuti gli Stati in due modi:
- in primo luogo, facendo abbassare il tasso d’interesse sui titoli di stato, quindi per lo stato la spesa per interessi diminuisce permettendo di guadagnare spazio fiscale,
- in seconda battuta la banca centrale aumenta il proprio utile proprio perché aumenta le sue attività in titoli di stato che pagano un interesse. Questo utile è trasferito ogni anno, in parte e a seconda degli accordi col Governo, al Tesoro dello Stato di riferimento.
Infatti, solo lo scorso anno la Banca d’Italia ha trasferito 5,5 miliardi al nostro Stato, senza contare le tasse. In questo senso, alcuni economisti ritengono che il quantitative easing sia quasi una politica fiscale più che monetaria.
Gli svantaggi del QE
Tra gli aspetti negativi possiamo annotare il fatto che l’inflazione non aumenta come sperato. Infatti, dal 2015 in poi non raggiunse il 2% praticamente fino allo scorso anno. Questo perché la BCE, per acquistare gli asset finanziari sul mercato, crea liquidità sotto forma di riserve, cioè moneta ‘bancaria’. Moneta che in larga parte non si è riversata nell’economia reale ma che è rimasta nei circuiti finanziari facendo aumentare gli indici della borsa.
Cos’è il QT
A parte la banca centrale giapponese, negli altri Paesi occidentali le banche centrali sono passate a programmi di QT. Se il QE serve a far espandere il bilancio della banca centrale, col QT questo bilancio si riduce.
Anche qui non vi è una definizione univoca, ad esempio la Fed e la BCE stanno adottando una versione più soft del QT. In pratica, quando un titolo di stato arriva a scadenza, evitano di riutilizzare la liquidità rimborsata dal Ministero del Tesoro per comprare nuovi titoli di Stato. In questo modo il bilancio diminuisce lentamente, mano a mano che i titoli di Stato presenti nel bilancio giungono alla loro scadenza naturale. La Bank of England, invece, sta adottando una versione più spinta del quantitative tightening poiché sta vendendo attivamente sul mercato una parte dei titoli in suo possesso, senza aspettare la loro scadenza.
Se ciò avrà delle ripercussioni positive sull’inflazione, cioè se aiuterà ad abbassarla, come molti economisti si auspicano, ancora lo dobbiamo verificare. Di sicuro, per molti stati questa nuova politica rischia di diventare problematica: i rendimenti sui titoli di Stato aumentano e i trasferimenti della banca centrale diminuiscono. Ciò diminuisce gli spazi di bilancio e soprattutto in fase di recessione l’economia potrebbe risentirne. Il tempo ci dirà se la scelta delle principali banche centrali si sarà rivelata corretta.
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