Renzi ritorna con il Ponte sullo Stretto di Messina ma il progetto è il peggiore di sempre, costi alti, benefici deboli. Il punto della situazione ad oggi.
Il Ponte sullo Stretto ritorna sulla bocca di Matteo Renzi e con lui il debito pubblico nascosto, la redistribuzione di risorse pubbliche scarse agli apparati di business e la patacca dei 100 mila posti di lavoro.
Un ponte sospeso a campata centrale unica di lunghezza pari a 3.300 m e una larghezza di 60 m. La strada che lo attraversa è composta da tre corsie, 3,75 m per ogni carreggiata (due di marcia e una di emergenza), mentre la sezione ferroviaria comprende due binari. L’altezza delle due torri raggiunge i 382,60 m sul livello del mare.
La Società Stretto di Messina (Anas 81,8%, RFI 13%, Regione Calabria e Sicilia 2,6%), concessionaria dell’opera, realizzerà il Ponte attraverso un contraente generale identificato in società la cui capofila è Salini. Il finanziamento dell’opera sarà assicurato per il 40% dall’aumento di capitale della società Stretto di Messina, già deliberato dagli azionisti, e per il rimanente 60% con finanziamenti da reperire sui mercati internazionali.
Tutto bene dunque, la deliberazione di morte del progetto era solo fumus persecutionis nordista?
Ritorna lo zombie del Ponte sullo Stretto
Lo zombie del Ponte sullo Stretto è ritornato in vita grazie a una mozione presentata dal Nuovo Centro Destra e votata dal PD.
Rileviamo subito che le dichiarazioni di Renzi smentiscono quelle di Delrio, che aveva dichiarato il Ponte “non prioritario”, riservandosi di valutare i costi e i benefici.
Aggiungiamo che la mozione parla di un Ponte solo ferroviario, che farebbe aumentare notevolmente il già verificato prevalere dei costi sui benefici per il progetto approvato, anche se è doveroso aggiungere che il risparmio di tempo sarebbe rilevante solo nel traghettamento dei treni.
Attualmente ci vogliono tre ore, infatti, tra l’arrivo a Villa San Giovanni e la partenza da Messina per Palermo o Catania. Il progetto definitivo è stato presentato nel 2011 che, nelle varianti al progetto preliminare approvato nel 2003, presenta preoccupanti anomalie come la mancanza d’indagine sismica.
In una delle zone più sismiche del mondo si scrive nella relazione geologica generale che quando si presenterà il progetto esecutivo “sarebbe auspicabile che si aggiornassero i profili sismici del progetto preliminare e acquisire dati aggiornati delle aree marine” (doc. PB0004_F0, pag. 63).
Inoltre si legge che risulta non cartografata “una faglia che, se attiva, va ad incidere direttamente sulle fondamenta dei piloni o nelle sue immediate prossimità” (Atto Senato n.4-06806 Seduta n 672 dell’8 febbraio 2012).
Quanto ci costa il Ponte sullo Stretto di Messina
Il costo del Ponte ammonta a 6,3 mld di euro cui vanno addizionati ulteriori 2,250 mld dovuti all’aggiunta di nuove opere di raccordo come una nuova stazione ferroviaria a Messina, una metro tra le città dello Stretto, lo spostamento a nord dellautostrada e un centro direzionale in Calabria, progetti dellarchistar Daniel Libeskind, che ha ridisegnato con la Freedom Tower il profilo di New York dopo la tragedia delle Torri Gemelle. Costo totale pari a 8,550 mld di euro.
{{{Chi paga per il Ponte sullo Stretto}}}
Chi ci mette i soldi? Sul mercato finanziario si raccolgono oltre 4 miliardi di euro, così come previsto nel piano 2009, e il resto lo mette lo Stato. Sarebbe interessante conoscere oggi come la pensa l’on. Realacci, che quando fu approvato il progetto definitivo dichiarò:
<quote>“Basta con le balle. Per il ponte dello Stretto non cè un euro e nemmeno un vero project financing. Se si fosse realizzato un chilometro di ferrovia per ogni annuncio fatto di avvio dei lavori del Ponte il nostro meridione sarebbe il territorio meglio servito d’Europa e l’economia del Sud di Italia ci avrebbe di sicuro guadagnato”.
Importante osservare che il costo dell’opera nel progetto preliminare era pari a 4,4 mld. La gara per la realizzazione del Ponte fu vinta nel 2005 da una cordata di aziende internazionali: Eurolink S.C.p.A., CMC di Ravenna, la spagnola Sacyr, con capogruppo Salini Impregilo.
Tutti i problemi del Ponte sullo Stretto di Messina
Importantissimi sono i problemi antichi mai risolti che questo rilancio di Renzi determina con l’aggravante dei vincoli internazionali che gravano sulla finanza pubblica: la valutazione del costo opportunità marginale dei fondi pubblici, l’entità dei finanziamenti “privati” se tale può classificarsi Fs e Anas, l’utilità dell’opera, l’impatto ambientale di una megastruttura in caso di default finanziario del progetto e infine una seria analisi costi benefici.
Le disponibilità attuali sono pari a 2,5 mld e la restante parte è da trovare sui mercati.
È onesto dire che in conseguenza d’imprevisti, intesi come impossibilità di raccolta dei capitali sui mercati, sarà lo Stato a farsi carico dell’intero finanziamento come previsto da una convenzione (della durata di 38 anni - 8 costruzione e 30 gestione) del dicembre 2003.
Il punto importante sul fronte del costo dell’opera e della utilità della stessa è rappresentato dai flussi di traffico. Circa l’impatto sulla crescita economica, che genererebbe i 100 mila posti di lavoro, sarebbe sufficiente ricordare il caso giapponese. Le opere infrastrutturali per rilanciare la crescita hanno generato solo un elevato indebitamento pubblico e zero incidenza sullo sviluppo economico.
Se il Ponte, come inserito nella mozione Alfano del 2015, serve a rilanciare il Sud allora ci sono ben altre priorità. Il Ponte sull’Øresund tra Danimarca e Svezia ha avuto un traffico inferiore di un terzo a quello previsto ed essendo lo Stato il garante di ultima istanza sarà lo Stato a pagare.
Il nodo dell’analisi costi-benefici e il Fiscal Compact
Nell’analisi costi-benefici effettuata quando il costo era di 4,84 mld di euro, i costi prevalevano sui benefici per 1,315 mld di euro - figuriamoci oggi con costi aumentati del 76%. Infine, ci sono vincoli comunitari rispetto al pareggio di bilancio (entrate uguali a uscite; art 81 Costituzione) e la riduzione del debito pubblico dal 133% del PIL al 60% in 20 anni (noto come Fiscal Compact).
Approvato due anni fa con solo 89 contrari in Parlamento utilizzando i dati scritti nel DEF di aprile scorso vorrebbe dire che per rispettarlo nel 2019 dovremmo avere un avanzo primario di 66 mld di euro e una crescita del PIL nominale di quasi il 3%.
Questo dimostra l’impossibilità di rispettare il Fiscal Compact, la competenza di chi l’ha ideato e ancor più dei 584 parlamentari che l’hanno approvato e i giochetti irresponsabili e cinici dell’annuncio fatto sulla realizzabilità del Ponte da parte del Presidente del Consiglio.
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