L’omicidio colposo deriva da una violazione delle norme cautelari prescritte dall’ordinamento. Chi lo commette non ha la volontà di uccidere ma la morte della vittima deriva dalla sua condotta imprudente. Ecco la disciplina e fonti normative.
L’omicidio colposo è una fattispecie di reato di cui si sente spesso parlare. Delinearne i confini non è sempre facile poiché occorre approfondire l’elemento psicologico di chi ha commesso il fatto.
Quando si parla di omicidio colposo, la persona che commette il reato non uccide intenzionalmente - come accade nell’omicidio volontario - ma pone in essere dei comportamenti imprudenti che causano l’evento morte. Dove c’è colpa significa che vi è stata la violazione delle regole cautelari determinate dalla legge (ad esempio la distanza di sicurezza tra i veicoli) oppure che l’agente ha agito con negligenza, imprudenza e imperizia.
Tipici esempi di omicidio colposo sono quelli che derivano dal mancato rispetto del Codice della strada, dai trattamenti medici o dall’inosservanza delle norme per la sicurezza sul lavoro.
L’omicidio colposo è punito con la pena detentiva da 6 mesi a 5 anni, ma sono previste delle maggiorazioni nel caso in cui la morte derivi dalla violazioni delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro o nel caso in cui l’evento provochi la morte di più persone.
Omicidio colposo: cosa prevede la legge
L’omicidio colposo si caratterizza per il fatto che manca la volontà di uccidere del soggetto agente. Si tratta di un omicidio non volontario e compiuto non intenzionalmente, cosa che lo distingue dall’omicidio doloso e preterintenzionale.
Spesso si sente parlare di omicidio colposo come “omicidio contro l’intenzione” perché chi lo commette non vuole attuare un disegno criminoso.; infatti la morte della vittima è causata da un incidente che deriva dall’omissione di un comportamento doveroso. Dunque, anche se l’omicidio non era voluto, il legislatore tiene conto dell’inadempimento degli obblighi prescritti in quanto, se l’agente avesse rispettato il codice comportamentale prescritto, la vittima sarebbe ancora in vita.
Infatti la legge impone degli obblighi di comportamento che variano in base al contesto (alla guida, nei luoghi di lavoro e nello svolgimento di ogni attività professionale) chiamati “regole cautelari”; per l’appunto, quando l’omicidio deriva dalla violazioni di queste regole si parla di omicidio colposo.
In base alla gravità del fatto o al contesto in cui avviene l’incidente mortale, l’articolo 589 del Codice Penale stabilisce che:
“Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.”
Ricapitolando, la pena detentiva prevista è:
- da 6 mesi a 5 anni per omicidio colposo semplice;
- da 2 a 7 anni per omicidio colposo per violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro;
- da 3 a 10 anni se l’omicidio è commesso da chi svolge abusivamente una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione.
Mentre l’ultimo comma dell’articolo 589 del Codice Penale prevede un’ipotesi particolare:
“Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.”
In tal caso, il giudice dovrà individuare la natura della violazione commessa ed applicare al reo la pena più grave prevista, moltiplicata per 3, fino ad un massimo di 15 anni.
Colpa generica e colpa specifica
Nel reato di omicidio colposo l’elemento più importante è l’atteggiamento psicologico del reo. In ambito penale, non è facile dare una definizione univoca del termine “colpa” poiché esistono diverse sfaccettature. La distinzione principale vede contrapposte la colpa generica e la colpa specifica, come disciplinato dall’articolo 43 del Codice Penale.
Quando l’omicidio è commesso con colpa generica significa che il giudice deve accertare che il fatto compiuto non era voluto e che è stato la conseguenza di un comportamento imprudente o negligente. In tal caso si tratta della violazione di regole non scritte che appartengono al bagaglio sociale e culturale di ogni cittadino. Rientrano in questa categoria tutti i comportamenti non regolati da fonti scritte. Al contrario, quando si accerta che l’omicidio è stato commesso con colpa specifica, significa che il reo non ha osservato una norma di comportamento contenuta in una fonte scritta. L’articolo 43 del Codice Penale fa un elenco delle possibili fonti:
- le leggi;
- i regolamenti;
- gli ordini professionali;
- le discipline tra privati.
La valutazione del giudice
Il giudice chiamato ad esprimersi su un caso di omicidio colposo deve accertare il fatto mediante un giudizio di “probabilità logica.”In pratica, egli deve valutare se, sulla base degli elementi a disposizione, sussiste o meno la ragionevole probabilità che il comportamento colposo dell’agente sia stato la causa scatenante della morte.
In conclusione, il giudice ha il compito di accertare il nesso causale tra la violazione della regola cautelare e l’omicidio. Se l’accertamento è positivo, allora sarà comminata la condanna di omicidio colposo, secondo quanto prevede l’articolo 589 del Codice Penale. Inoltre, in sede civile, il giudice potrà condannare il reo anche al risarcimento danni nei confronti dei familiari della vittima, qualora questi ultimi decidano di costituirsi parte civile nel processo penale.
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