L’ultimo discorso sullo stato dell’unione del presidente guarda al futuro. 4 i temi chiave: l’economia, l’innovazione, la leadership degli USA nel mondo e la politica interna.
Si è svolto lo scorso martedì 12 gennaio, alle 21, il discorso del presidente in carica Barak Obama sullo stato dell’Unione, davanti al Congresso e all’intero paese. Questo è stato l’ultimo della sua carriera da presidente, che dopo 8 anni di carica e un doppio mandato, non può più essere eletto secondo il XXII emendamento della Costituzione statunitense.
Lo Stato dell’Unione è una relazione tenuta, tipicamente ogni anno, dal presidente degli Stati Uniti al Congresso convocato a sezioni unite. La relazione, che un tempo veniva trasmessa per iscritto ma che tramite i mass media si è trasformato in un evento da seguire on real time, non solo riporta quelle che sono le condizioni attuali del paese ma consente al Presidente di presentare la propria agenda politica (per la quale necessita della cooperazione legislativa del Congresso) e fissare le priorità nazionali. In questa occasione particolare, lo speach è stato visto da molti commentatori come il lascito di Obama, che è al suo ultimo mandato.
La presidenza di Obama, come emerge anche nel suo discorso, è stato segnato da diverse battaglie e anche scontri con gli oppositori e il congresso, ma anche da alcuni importanti successi. La ripresa dalla crisi finanziaria e reale in primis con 14.1 milioni di posti di lavoro creati in 6 anni e un tasso di disoccupazione al 5 %, raggiunti insieme ad una diminuzione del deficit; la riforma sanitaria e in particolare l’affordable care act che ha consentito a quasi 18 milioni di Americani di ottenere una copertura sanitaria, la “rivoluzione energetica” che ha portato gli USA a più che dimezzare la loro dipendenza dalle importazioni di petrolio. E i successi in termini di politica internazionale, primo su tutti l’accordo sul nucleare con l’Iran, l’apertura con Cuba, il ruolo di leadershio nell’accordo sul clima di Parigi, nella lotta all’ebola in Africa e all’ISIS in Siria, la stipula dell’accordo commerciale TTP, accordo tra gli USA e altri 11 paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico.
Il presidente però, nonostante per sua stessa ammissione l’attenzione sia già fin da ora concentrata sulle prossime elezioni previste per l’8 novembre 2016, non ha voluto solamente evidenziare i successi della sua presidenza, ma anche stabilire le priorità politiche americane per il prossimo futuro e per i leader che si succederanno anche dopo il termine del suo mandato.
4 i temi chiave:
Un’economia che dia a tutti i meritevoli un’opportunità, in pieno stile american dream, ma anche molto attenta ai temi della giustizia sociale e della redistribuzione del reddito, che consenta a tutti gli studenti lodevoli un’istruzione adeguata abbattendo i costi dei community college (scuola universitaria, nata negli anni ‘20, come alternativa pubblica all’Università, che negli States è molto costosa e accessibile a pochi), che rafforzi il welfare state in particolare la sanità, e che dia più voce ai lavoratori, alle strat up e alle piccole imprese.
L’innovazione, che è nel DNA degli americani, come elemento fondamentale insieme alla tecnologia del progresso e del benessere. Innovazione nel campo della ricerca e della medicina, nella cura del cancro, nella speranza che gli USA possano essere il paese a trovare la cura. E innovazione in campo energetico, puntando al massimo sulle energie rinnovabili come l’eolica e quella solare, non solo perchè è giusto, perchè il 2015 è stato l’anno più caldo di sempre e perchè vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti un mondo migliore, ma perché è un’opportunità unica per le imprese e il business targato USA.
La leadership nel mondo e la politica estera, perchè gli Stati Uniti sono ancora un paese forte, “la nazione più potente nel mondo”, a cui le altre nazioni guardano in questo momento storico di incertezze e cambiamenti. Ma la leadership va di pari passo con la sicurezza interna, l’una aiuta l’altra, e bisogna dare per primi il buon esempio, a cominciare dalla chiusura di Guantánamo.
E infine la politica interna, con un’esortazione ad una maggiore cooperazione, a dibattiti costruttivi, alla fiducia in un sistema migliore, che consenta al maggior numero di cittandini di esercitare a pieno il proprio diritto di voto e che li spinga ad occuparsi della cosa pubblica sempre, anche al di fuori dei periodi elettorali.
Insomma, anche in mondo incerto e in un’America spesso divisa, ancora teatro di forti scontri razziali, l’ottimismo e la fiducia nelle capacità e nelle possibilità degli Stati Uniti non vacillano.
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