A dicembre è stato approvato l’accordo sul clima di Parigi. Riusciranno gli Stati a dare segnali abbastanza forti per un impegno anche del settore privato nel breve termine?
In Italia il bel tempo e la siccità prolungata stanno portando problemi d’inquinamento un po’ ovunque, l’Inghilterra è stata colpita da una gravissima inondazione, con migliaia di sfollati in Scozia e Galles, mentre gli Stati Uniti stanno affrontando alluvioni e tornado, con un bilancio di 45 vittime. Sembra proprio che il 2015 voglia ricordarci, proprio nei suoi ultimi giorni, l’importanza delle limitazioni alle emissioni di anidride carbonica e le potenzialità devastanti dei cambiamenti climatici.
L’accordo di Parigi
Ma il 2015 è stato anche l’anno in cui, il 12 dicembre, è stato approvato l’accordo sul clima di Parigi, per ridurre le emissioni e rallentare il riscaldamento globale. In breve, l’accordo prevede:
- Aumento della temperatura terrestre contenuto entro 2° rispetto all’era preindustriale, con l’impegno di sforzarsi a limitarlo a 1,5°.
- Controlli e revisioni degli obiettivi ogni 5 anni. Nel 2018 esperti indipendenti dell’Onu stabiliranno qual è la soglia di emissioni compatibile con l’obiettivo di 1,5°, mentre nel 2023 si svolgerà la prima verifica sui risultati raggiunti da ogni Paese. In ogni caso gli sforzi per raggiungere gli obiettivi prefissati sono del tutto volontari e non vincolanti.
- Differenziazione della responsabilità e dell’impegno finanziario tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati. Su questo punto in particolare si stabilisce l’erogazione di 100 miliardi all’anno, come finanziamento dai Paesi ricchi a quelli poveri per promuovere l’energia pulita.
- Compensazioni per i danni ambientali. Viene confermato il Meccanismo di Varsavia (meccanismo nato durante il COP 19 di Varsavia, nel 2013) per valutare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici subiti, ma manca la possibilità di essere risarciti per le perdite finanziarie derivanti da catastrofi ambientali.
- Trasparenza. Tutte le nazioni interessate presenteranno regolarmente dati sulle proprie emissioni e aggiornamenti sui progressi fatti, ma non certificati da nessun organismo esterno di verifica.
Va ricordato poi che l’accordo entrerà in vigore solo nel 2020, dopo che sarà ratificato, accettato o approvato da almeno 55 paesi che rappresentano complessivamente il 55 % delle emissioni mondiali di gas serra.
L’interesse delle istituzioni finanziarie per il cambiamento climatico
Quest’accordo, per quanto storico e fondamentale anche se lascia molti scontenti, rappresenta quindi solamente un punto d’inizio nella lotta al cambiamento climatico, che per essere davvero efficace e tempestivo, deve non solo raccogliere il maggior consenso possibile tra tutti gli stati, ma deve trovare anche il modo di coinvolgere il settore privato.
Secondo un rapporto del 2014 dell’UNEPFI (the United Nations Environment Programme Finance Initiative – una partnership pubblico-privata nata nel 1992 tra il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e il settore finanziario, con più di 200 membri tra importanti banche, fondi di investimenti e compagnie di assicurazione) c’è effettivamente un crescente interesse da parte di diverse istituzioni finanziarie per il cambiamento climatico, le quali cominciano ad allocare capitale e dirottare i flussi finanziari verso attività più “verdi”. In particolare, alcuni fondi pensione stanno aumentando la loro dotazione di asset legati ad attività a basse emissioni di carbonio e a maggiore efficienza energetica, mentre investitori istituzionali stanno supportando progetti sulle energie rinnovabili. Inoltre, il mercato dei green bond è in crescita e l’intera industria finanziaria sta collaborando per influenzare la politica e i regolamenti sul clima e sull’energia, in modo da incoraggiare tutto il mondo della finanza verso una riduzione dell’impatto climatico.
Non solo, nei mesi precedenti gli accordi di Parigi, diverse istituzioni finanziarie hanno pubblicato rapporti sull’argomento, tra cui Citigroup, la terza più grande azienda di servizi finanziari degli Stati Uniti, nel cui report si sostiene che gli investitori sono pronti a dirottare capitali verso le energie rinnovabili e i progetti a maggiore efficienza energetica.
Impegni dei governi e investimenti privati
Nonostante queste notizie positive, la maggior parte degli investimenti viene ancora attratta da attività ad intenso utilizzo dei combustibili fossili e forte impatto ambientale, ma sembra evidente che il settore sta cominciando a tener conto dei cambiamenti climatici. Forse, con il giusto grado di trasparenza e coerenza rispetto agli impegni presi nelle sessioni internazionali da parte dei governi, gli investimenti privati verso un’economia più “verde” potranno nel prossimo futuro fare veramente la differenza. Se i governi riusciranno a creare fiducia sul raggiungimento degli obiettivi fissati nell’accordo di Parigi, daranno certamente un forte segnale positivo ai mercati.
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