MythBuster: la disoccupazione. Atto I: gli insulti.

Manuel Zarli

3 Febbraio 2014 - 10:30

Analisi sul mercato del lavoro: è vero che il disoccupato è una persona laureata e schizzinosa?

MythBuster: la disoccupazione. Atto I: gli insulti.

La disoccupazione è uno dei temi principali dell’attuale panorama politico, ma non si tratta di un argomento nuovo o innovativo. Ancora prima che la Crisi del biennio 2007/8 arrivasse a lambire il bel paese se ne parlava e non poco. All’epoca, però, si focalizzava l’attenzione su due elementi: la disoccupazione giovanile e i lavori non coperti per mancanza di manodopera. Entrambi i problemi avevano in comune la causa: i giovani sono dei bamboccioni e preferiscono prendere lauree inutili piuttosto che ricoprire posizioni lavorative di tipo manuale. Ecco quel che ha scritto Vittorio Feltri [1]:

I ragazzi, grosso modo, si dividono in due categorie, ciascuna delle quali ha due sottocategorie. Quelli che non hanno voglia di studiare o non possono farlo. Molti si adattano a fare un lavoro purchessia e si mantengono, pur avendo una paga bassa; altri, oltre a non avere voglia di studiare, non ne hanno neppure di lavorare e aspettano un miracolo: un posto che richieda solo di essere occupato e non una competenza, una specializzazione, ma garantisca uno stipendio decente, settimana corta, sabato e domenica liberi, lunghe ferie. Costoro confidano nella comprensione dei genitori: campano alle loro spalle, aspettando e sperando che il ciel li aiuti. il loro sogno è partecipare al Grande Fratello o essere scelti da Maria De Filippi per comparire sul video e farsi invidiare dagli amici del bar. E veniamo agli studenti. Quelli che hanno le idee chiare, i più dotati, scelgono la facoltà a loro congeniale, frequentano, si impegnano e giungono al termine del corso senza perdere tempo. Smaniosi di fare pratica, si adattano poi a percepire compensi miserrimi pur di imparare la professione e, quando sono pronti, si lanciano e sfondano. Le lauree scientifiche, non disgiunte dalla realtà economica del Paese, facilitano questo tipo di "carriera". Infine ci sono gli studenti storditi dalla pubblicità, dal cinema, dalla televisione e dai luoghi comuni diffusi a piene mani da quelli che si proclamano intellettuali. Per completare il triennio costoro ci mettono una vita. Raramente si avventurano nel successivo biennio. Arrivano alla discussione della tesi con i primi capelli bianchi. Il diploma che faticosamente hanno conquistato li abilita alla disoccupazione: scienza della comunicazione o lettere moderne o giurisprudenza. Lasciamo perdere filosofia e scienze politiche. Questi dottorini senza prospettive diranno al padre e alla madre: vedi, mi sono laureato, ma nessuno mi offre una cattedra o un incarico all’altezza del mio titolo; tutta colpa della società, del capitalismo marcio; mi servirebbe una raccomandazione, e tuttavia, anche se ne avessi una, la rifiuterei perché sono onesto e ritengo che il lavoro sia un diritto. Di giovani così ce ne sono parecchi: perfetti candidati a ricevere l’attestato di bamboccioni, sfigati e/o mammoni. Non sanno fare alcun mestiere né intendono piegarsi ad apprenderne uno. Non si degnano di cominciare dal basso. Sono inclini a protestare, al vittimismo, fanno di tutto per non sporcarsi le dita. Suscitano tenerezza nei genitori che, pertanto, tenderanno a giustificarne la pigrizia, li nutriranno e li foraggeranno con le proprie pensioncine convinti di avere in casa dei geni incompresi. A grandi linee, ecco la situazione delle nuove leve. Che non si rassegnano alla loro mediocrità e attribuiranno sempre ad altri ogni mancato successo, Frustrati, insoddisfatti, infingardi, evitano con cura di rimboccarsi le maniche. [...] I bamboccioni e i mammoni pretendono di tagliare il traguardo senza compiere il percorso. Sono persuasi che il famoso (ormai famigerato) pezzo di carta sia sufficiente per avere, e si guardano dal dare.

Dose aggravata, sparando a zero contro l’università [2]:

Ma questi dettagli volgari forse non sono a conoscenza della signora Elsa, la quale pertanto ha parlato e parla senza cognizione di causa. Strano però, essendo docente, che ignori anche quanto è attinente alla sua professione: oggi, per effetto dell’istruzione di massa, 80 lauree su 100 servono a chi le ha conseguite solamente per abbellire il biglietto da visita col titolo di dottore. Per trovare un lavoro sono inutili, perché non garantiscono una preparazione tecnico professionale. O il pezzo di carta certifica l’acquisizione di nozioni serie allo scopo di intraprendere un’attività richiesta sul mercato di lavoro oppure è un pezzo di carta e basta, destinato a rimanere chiuso in un cassetto. I dottori in scienze politiche, scienze sociali, scienza della comunicazione e roba del genere (per esempio giurisprudenza: sono più numerosi gli avvocati degli imputati) hanno prospettive assai ristrette e saranno costretti a fare mestieri per i quali i loro studi sono ininfluenti. Questa è la realtà e la Fornero dovrebbe conoscerla. Il valore legale dei titoli, di cui si discute con fervore nella presente congiuntura, di fatto non ha più senso tranne per chi intenda partecipare a concorsi pubblici che però sono sempre più rari, perché gli organici dello Stato e degli enti locali sono pletorici, da sfoltire e non da integrare.

La posizione di Feltri non è isolata. Ecco Gramellini [3]:

Mancano i fornai. C’è la disoccupazione fulminante, a un concorso per cinque posti da vigile urbano si presentano in ventimila, ma intanto a Roma - è il lamento dell’Unione Panificatori - non si trovano trecento ragazzi disposti a fare il pane per duemila euro al mese. Ho un amico pizzaiolo che cercava un assistente e lo voleva giovane e italiano. Quando ha trovato quello giusto si è sentito chiedere: «Dovrei lavorare anche di sera?» «La gente non viene a mangiare la pizza di pomeriggio». «Allora non m’interessa».
Il suo posto accanto al forno è stato preso da un egiziano, che farà gli straordinari per mantenere agli studi il figlio nella speranza che non diventi un pizzaiolo. Perché, al di là degli orari infelici, il problema di certi mestieri resta la loro scarsa considerazione sociale. È una delle follie di questo capitalismo finanziario, per fortuna malato terminale: il disprezzo per i lavori che producono beni materiali e richiedono uno sforzo fisico diverso dal tirare calci a un pallone. Un impiegato di Borsa è considerato più «giusto» di un falegname. E non solo dai ragazzi. Anche dai genitori, che si vergognano di mandare i figli alle scuole professionali.

E se a qualcuno venisse in mente la folle idea di ottenere le stese protezioni sociali presenti negli altri paesi europei? Sia mai! Ecco Rondolino [4]:

Che cosa vogliono infatti gli «indignati»? Citiamo da un’autorevole lettera inviata lo scorso 12 ottobre al presidente della Repubblica: «La questione generazionale è semplice: c’è una generazione esclusa dai diritti e dal benessere. La questione non si risolve togliendo i diritti a chi li aveva conquistati, i genitori, ma riconoscendo diritti a chi non li ha, i figli, e per far questo ci vogliono risorse», cioè più spesa pubblica, cioè più tasse. E infatti gli «indignati» chiedono «una tassazione delle rendite finanziarie, delle transazioni, dei patrimoni mobiliari e immobiliari». Più Stato e più tasse: ecco la ricetta dei nostri rivoluzionari neodemocristiani. Il cui orizzonte è «una terza Repubblica fondata sui beni comuni e non sugli interessi privati». Un liberale non potrebbe che inorridire a quest’ultima perorazione: la libertà, infatti, è precisamente la possibilità di difendere e far valere i propri interessi privati, materiali e immateriali. Ma qui è questione di pratica, non di teoria: e la pratica è quella dell’assistenzialismo diffuso, del Welfare «pesante» percepito come un diritto, del posto fisso garantito. Gli «indignati» si concepiscono come sudditi che chiedono al sovrano-Stato un’elemosina (una scuola sempre più degradata, una sanità sempre più inefficiente, una pensione sempre più povera, un posto di lavoro sempre più improduttivo), non come liberi cittadini padroni del proprio destino, intenzionati a realizzare i propri desideri e desiderosi soltanto che il governo se ne stia lontano e li lasci lavorare, studiare, creare in pace.

Posizioni limitate a pochi opinionisti scollegati dalla realtà? Si direbbe di no:

Io non sò di quali giovani italiani parlate. Ne vedo molti intervistati alla tv e ne conosco tanti e quando viene chiesto cosa vorrebbero fare, (in genere sono in una discoteca), dicono che vogliono viaggiare in California, vogliono una macchina di grossa cilindrata, e altre cose di lusso e non capiscono che senza un lavoro, non le avranno mai. Tanto la paghetta arriva dai nonni. Vanno all’università, i genitori pagano, tornano a casa e tutto è pronto, il vestiario viene fornito, il cibo è in tavola. Poi la sera si passa davanti alla TV con giochi elettronici, si studicchia, poi arriva una telefonata sul regolare IPhone ed escono per incontrare altri come loro, qualche euro arriva dai genitori per il caffè al bar e cosí passano le giornate, senza responsabilità nè progetti. Alla fine arrivano verso i 35 anni e vogliono sposarsi, senza lavoro perchè esigono un lavoro griffato, hanno fatto come la cicala e la formica. Nel mio condominio le pulizie sono svolte da una ditta che ha alle proprie dipendenze extracomunitari del tutto in regola. Quindi dubito fortemente che manchi il lavoro, preferisco pensare che manchi la VOGLIA di lavorare.

Ancora:

non avete voglia di lavorare, anche il più stupido pensa di essere chissà chi!...e si ritrova a mangiare il prato reclamando un reddito di cittadinanza! W la crisi

E ancora:

Il bene degli italiani - Da vent’anni i governanti, dal Presidente in giù, hanno voluto che i giovani frequentassero la scuola anche controvoglia, in quel modo hanno tolto la possibilità di praticare mestieri che poi hanno dato in nero e senza tutele agli estra con buona pace alla loro morale. I giovani sono diventati tantissimi e anziani che aspettano una raccomandazione-obolo da questi schifosi politici e governanti per sopravvivere. Un grazie di ****a a tutti costoro

E poi:

giusto, nessun italiano e’ disposto a fare taluni lavori, o perche’ faticosi, o perche’ "umilianti",Ma si tratta di lavori necessari, talvolta indispensabili e chi e’ disposto a farli, va premiato. Il problema e’ che , una volta assunti, gli stranieri hanno gli stessi diritti degli italiani, ma sul lavoro di solito dimostrano ben altro attaccamento all’azienda, e fanno tutti i lavori, opportuni e non solo necessari, anche se tali lavori non rientrano nel quadro della loro assunzione.Mi e’ capitato di dissuadere un marocchino che si era messo in testa di abbellire il giardino d’ingrsoo agli uffici fuori dell’orario di lavoro....tanto per dire

L’importanza del lavoro e del lavorare, lavorare sempre di più, sempre di più fino a non avere il tempo per apprendere la grammatica e l’ortografia italiana. Senza dimenticare l’onnipresente muratore, sogno erotico del commentatore medio:

Ministra Fornero, in Italia abbiamo bisogno di meccanici, muratori, falegnami. gente che sappia lavorare con la testa ed abbia il gusto del lavoro di qualità ed anche il piacere di un lavoro che sia piacevole esteticamente. Soprattutto gente che sappia parlare l’italiano. Gente che non si offenda se deve cominciare con il martello, lo scalpello, l’accetta o la lima, e che poi sia in grado di aggiustare e montare un motore oppure posare un pavimento con le fughe tra una mattonella e l’altra che non siano il parto di un artista astratto per giunta ubriaco o fatto di cocaina. E per far ciò la,laurea non serve ad un ca@@o, ma serve la volontà di imparare un mestiere e una politica del lavoro ceh imponga rigore a chi si affaccia al mondo dell’ apprendistato. Ecco dove ci vuole davvero rigore!! Soprattutto se uno non vuole studiare ( del chè se invece ne ha voglia ne ha pieno diritto) ci vuol rigore da parte delle famiglie affinché queste esortino i figli ad andare a lavorare e ad imparare. Con rigore come piace a lei!!! Lei purtroppo di queste cose non sa nulla, ma non se ne faccia un cruccio. Per sapere queste cose occorre avere un cervello a posto e non la puzza sotto al naso. Cominci a scaccolarsi con il suo ditino che forse almeno un po’ di puzza se la leva di torno.

E il mitico posto fisso, l’uomo nero del nuovo millennio:

D’accordo su tutto. La prova del nove sta nel gran numero di immigrati che occupano posti di lavoro sia subordinato che autonomo che i nostri cari ragazzi snobbano in quanto sono lavori manuali. E questi lavori non è che diano redditi esigui, anzi alcuni sono assai redditizi: laurasc, danerasc. Ma il mito laurea è troppo forte e poi i nostri governi da troppo tempo creano l’illusione che la laurea garantisca il posto fisso.

Vox populi, vox dei. Si prenda nota: il disoccupato moderno è un laureato 21enne, che si sa a quell’età si possiedono 4 o 5 lauree, schizzinoso che non ha voglia di fare niente né di ricoprire mansioni manuali. O, almeno, è quello che pensa la massa. Ma è davvero così?

[1] Cfr. V. Feltri, Bamboccioni o mammoni? No, svogliati, in il Giornale, 07/02/2012.
[2] Cfr. V. Feltri, Cara Fornero, la laurea non dà lavoro, in “il Giornale”, 23/04/2012.
[3] Cfr. M. Gramellini, Il pane quotidiano, in “La Stampa”, 03/09/2011.
[4] Cfr. F. Rondolino, Altro che indignati. Sono solo bamboccioni, in “il Giornale”, 18/10/2011.

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