Mercati finanziari e inflazione

Renato Frolvi

08/05/2013

Mercati finanziari e inflazione

Le ultime settimane hanno visto i mercati finanziari, sia obbligazionari che azionari , effettuare un rally abbastanza inaspettato per gli addetti ai lavori.

L’ indice americano SP500 sale da inizio anno al 3 maggio del +14% ( di cui il 4% solo nei 30 giorni che vanno dal 3 aprile al 3 maggio ), mentre l’ indice di Londra FTSE100 sale da inizio anno dell 11% ( di cui il 3.5% negli ultimi 30 giorni ).

Eppure gli indicatori anticipatori di tipo PMI sono ultimamente usciti piuttosto deboli sia per l’ economia USA che per le economie europee , sia per l’ economia cinese. Si conferma quindi un 1° semestre di stagnazione , oppure debole crescita, per l’ economia mondiale, ad esclusione delle economie dell’ area BRIC ( Brasile, Russia, India e Cina ).

La ripresa arrivera’ solo alla fine del 2013, ma con ampie sacche di disoccupazione nei paesi periferici dell’ area euro, e in alcuni stati del Sud degli USA.

Mercati azionari e crescita storicamente sono correlati positivamente e in via anticipata (nel senso che i mercati azionari solitamente anticipano di 6 - 8 mesi i dati macro-economici dei paesi di riferimento).

In questi ultimi tempi pero’ il ciclo econimco e il mercato borsistico sembrano essere slegati tra loro: giungono notizie non buone dagli indicatori anticipatori, bilanci non esaltanti nelle relazioni trimestrali sia delle aziende americane che di quelle europee , eppure gli indici azionari continuano a salire.

Gli scettici gia’ parlano di formazione di bolle speculative, sia sui credit markets ( con spread dei corporate bonds troppo compressi rispetto alla curva swap ) che sui mercati azionari, profetizzano severe correzioni ( cioe’ non semplici e salutari storni, bensi’ inversioni del trend primario), ma non hanno fatto i conti con le banche centrali.

Quel che è certo è che viviamo un periodo di bassa inflazione e moneta facile. E’ un mix ideale per i mercati azionari . Gli ultimi dati relativi all’ inflazione sono disarmanti.

In USA il dato CPI urban consumers del federal bureau of statistics è sceso al 1.5% annualizzato a fine marzo. Nell’ area euro lo stesso dato calcolato da Eurostat è sceso all’ 1.2% sempre per fine marzo. Sono dati non depurati dagli aumenti IVA. Probabilmente se fossero calcolati al netto della VAT (Value added Tax, corrispettivo in inglese dell’IVA) siamo gia’ in territorio deflazione per alcune aree europee (Italia , Spagna e Portogallo ) e molto vicini alla deflazione per gli USA.

Il giappone non fa testo . Vive in deflazione gia’ da molti anni e i tassi del decennale nipponico oscillano tra lo 0.50% e lo 0.53%. Le banche centrali hanno quindi spazio per inondare i mercati di liquidita’ ancora per molti mesi. Non c’è alcuna questione circa i rischi di una "exit strategy" al momento ( cioe’ di rimozione della politica monetaria espansiva) semplicemente perche’ la "exit strategy " è ancora un evento che appartiene ad un futuro lontano. Il mondo ha bisogno di inflazione . Questo spauracchio che negli anni 80 agitava i sogni dei banchieri centrali europei e americani , è ora un bene prezioso da iniettare nell’ economia , al fine di evitare un pericolo ancora piu’ grande : la depressione. Ovvero quel male oscuro che , similmente alla analoga patologia dell’animo umano , si manifesta come recessione prolungata e permanente . Un calo costante dei consumi , dell’ occupazione e degli investimenti che si autoalimentano in una spirale negativa, In un territorio dove le banche centrali non potrebbero fare nulla, anche portando i tassi ufficiali a zero ( i tassi reali sono invece negativi da tempo per le principali economie industrializzate ).

Bernanke è stato lungimirante in questo. Prevedendo i rischi di una depressione ha iniziato con il primo approccio di QE ( quantitative easing ) nel "lontano " dicembre 2009 , seguito dal QE2 nel dicembre 2010.

Se dunque le banche centrali sono disposte a pompare inflazione nel mondo, allora i tassi reali negativi sui bond tedeschi, americani e inglesi sono una realta’ destinata a durare nel tempo.

Questo lancia quindi le azioni come asset inevitabilmente destinato ad apprezzarsi nel tempo, anche con crescita degli utili debole ( come denuncia il 1° trimestre 2013 ) o utili stagnanti delle aziende multinazionali.

L’ utile pagato ogni anno produce un dividend yield che, se raffrontato con l’ analoga cedola del governativo a 10 anni , risulta estremamente attraente . (*)

Per fare un esempio , alla data del 7 maggio 2013 , secondo il database di Bloomberg, il dividend yield del dax tedesco al 3.5% aveva uno spread di 220 bps sul tasso del bund a 10 anni all ’1.30%.

Storni dei mercati e prese di beneficio saranno all’ ordine del giorno, quindi, e saranno anche i benvenuti in un certo qual senso ma l’ abbondante liquidita’ garantita dalle banche centrali rappresenta una garanzia importante per la sostenibilita’ del trend rialzista di medio periodo dei mercati azionari .

(*) "... an environment of soft inflation is typically good for equity markets. We define weak growth and inflation as periods where these measures are below trend (or above for strong growth, strong inflation)...in a sample of US data going back to 1930 until 2012 .

According to our analysis, US growth was above trend last year and is expected to remain so in 2013, while CPI inflation is below trend in both cases. Figure 1 shows that historically, such an environment is positive for equities.

The rationale is that inflation and output tend to be weak following recessions, leaving plenty of room for expansionary monetary policy, which tends to boost equities. The current environment is no different. Furthermore, the recovery period might well be longer than normal, given the depth of the financial crisis. This means that central banks remain ready to support growth, especially if signs of disinflation persist... "
BARCLAYS - GLOBAL ASSET ALLOCATOR - MAY, 2ND 2013 PAG. 4

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