La polveriera mediorientale in queste settimane è riesplosa, andando a minare quel perenne precario equilibrio ossessionato da controllo, confini, sicurezza. La crisi dello Stato-nazione è la crisi stessa della sovranità soprattutto su confini volatili ed erosi dal processo di globalizzazione. Globalizzato è anche quel terrorismo che proprio in Medio Oriente prolifera e terrorizza. Cosa si nasconde dietro ciò che, apparentemente, risulta un’immotivata rappresaglia tra Hamas e Isreale? Quali sono i veri interessi in gioco a Gaza oltre le nubi di bombe, razzi e raid?
Brevi cenni su Gaza
La striscia di Gaza è un territorio geograficamente molto limitato, ma di importanza strategica, benché non sia riconosciuta come stato sovrano a livello internazionale. La sua è soprattutto una storia di continui avvicendamenti di governo per il controllo. Si è passati dall’occupazione egiziana, a quella israeliana, all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), all’attuale controllo di Hamas, che dal 2007 ha instaurato un governo islamico de facto. Attualmente è rivendicata come parte dei territori israeliani, pur avendo una popolazione prevalentemente araba.
Gli interessi sulla zona
Le guerre della zona sono sempre state combattute come “crociate religiose”, nascondendo che la religione è, spesso, solo il mezzo per raggiungere uno scopo ben più ampio, che rende ghiotta la causa a tutti gli attori internazionali: controllo dell’energia e, quindi, dell’economia. Sullo scacchiere mediorientale si muovono tanti interessi.
- Interessi israeliani
Praticamente l’occupazione israeliana sulla striscia non ha avuto fine, dal momento che, grazie agli accordi di Oslo del 1993, Israele ha il controllo sullo spazio aereo, sui confini terrestri (esclusi quelli con l’Egitto) e su quelli marittimi, sotto cui si cela un importante tesoro: 28 metri cubi di gas. L’attacco di Israele più che dai razzi di Hamas sembra motivato da altre cause.
Israele vuole davvero la pace in Medio Oriente? La pace e la normalizzazione non appaiono obiettivi di breve periodo. I problemi di oggi sono quelli di ieri, piuttosto tradizionali: l’Iran e gli Hezbollah del Libano, considerati ben più pericolosi di Hamas per la sicurezza nazionale, a cui dare una prova di potenza militare. Gaza sembra solo il primo step di una battaglia su più fronti.
Questione iraniana. L’Iran, che sta vivendo un crisi economica e politica, e per mezzo di Ahmad Vahidi, ministro della Difesa, incita ad “azioni di rappresaglia” il mondo islamico contro “i crimini del regime sionista”, è un nemico con cui chiudere i conti, soprattutto ora che sta “perdendo” l’alleato siriano, oggetto di una crisi su cui vige uno “strano” silenzio. Paura di contagio?
Motivi politici. In Primavera ci saranno le elezioni e Benjamin Netanyahu, conservatore e nazionalista, potrebbe essere facilmente riconfermato in un clima belligerante. Allo stesso tempo, questa situazione potrebbe costare il posto a Abu Mazen, presidente dell’ANP, la cui credibilità è già in bilico.
Usa. Tradizionale obiettivo di politica estera israeliano: quanto poter contare sul Presidente degli USA? Il fatto che tutto l’odio sia scaturito a pochi giorni dalla riconferma di Obama non è una coincidenza. Tuttavia, la sua posizione, soprattutto adesso, deve essere morbida. “Il diritto all’autodifesa e la protezione dei civili possono essere esercitati senza un’escalation dell’azione militare”. Mettere fine alle ostilità “sarebbe preferibile, non soltanto per il popolo che vive in quella striscia, ma per le stesse truppe israeliane che sarebbero esposte al rischio di molti caduti” ha dichiarato il Presidente.
- Interessi Hamas
Forse anche per Hamas far esplodere un caso internazionale “conviene”. I motivi sono quasi analoghi: Iran e Siria, alleati su cui è meglio distogliere l’attenzione. D’altra parte c’è l’Egitto. Mohamed Morsi, il nuovo Presidente, dopo la caduta di Ḥosnī Mubārak, ha dichiarato di voler continuare a rispettare i molteplici accordi che legano il suo Paese a Israele; tuttavia teme un’instabilità causata dai rifugiati palestinesi di Gaza in marcia verso l’Egitto. Il suo dovrebbe essere un ruolo di grande mediatore dell’area, tuttavia potrebbero verificarsi “scontri di frontiera” che inasprirebbero pericolosamente i rapporti con Israele, già "condannato" moralmente. E l’Egitto in questo momento è troppo instabile per farsi garante della stabilità altrui o per essere travolto da qualcosa di incontrollabile.
Ciò che è certo è che quando si volge lo sguardo al Medio Oriente, cercando di trovare la risposta agli interrogativi più attuali e allarmanti, la risposta è sempre la meno ovvia, la più celata, la più strategica. Quella più destabilizzante e sanguinosa. Le alleanze si costruiscono così, con i morti, se sono bambini poi, come la strage di queste ultime ore a Gaza, è ancora meglio. Tutto diventa più eloquente.
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