La Libia sotto la scure dell’ISIS. I terroristi del califfato islamico minacciano l’Italia, mentre i Governi occidentali cercano una soluzione. L’AIRL, Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia, commenta la situazione su Forexinfo.it
La crisi libica sembra aver raggiunto la sua acme e il pericolo per l’Italia diventa sempre più alto. "Siamo a sud di Roma", hanno scritto ierii gli organi di stampa dell’ISIS, mentre i Governi occidentali cercano di trovare una soluzione comune volta a riportare la democrazia in Libia e a scongiurare la minaccia terroristica.
Forexinfo.it ha pensato quindi di chiedere un commento sulla situazione all’AIRL, Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia, che da anni rappresenta uno dei massimi riferimenti in Italia nei rapporti con il Paese africano.
Dal 1972 infatti, l’AIRL si occupa dei diritti dei nostri connazionali cacciati da Gheddafi, persone che non solo hanno dovuto lasciare la Libia, subendo l’espropriazione di ogni loro bene, ma che non hanno neanche ricevuto alcuna tutela da parte del Governo italiano. Tra i rimpatriati c’era anche Giovanna Ortu, presidente dell’associazione.
A rispondere alle nostre domande è Daniele Lombardi, Direttore della rivista "Italiani di Libia" e capo ufficio stampa dell’AIRL.
La vostra Associazione da più di quarant’anni si occupa di difendere gli interessi degli italiani rimpatriati dalla Libia nel 1970. Avete una vasta nonché pluridecennale conoscenza del territorio, come analizzate la situazione degli ultimi giorni?
L’AIRL ha da decenni un rapporto affettivo molto forte con la Libia. Tutti i nostri associati hanno vissuto lì e, dopo la cacciata di Gheddafi, hanno perso case, terreni, conti bancari, persino i contributi previdenziali. Da oltre quarant’anni combattiamo per il riconoscimento dei loro diritti.
Oggi, ciò che auspichiamo è il raggiungimento di un’immediata pacificazione dell’area, una soluzione che garantisca una vita migliore al popolo libico, che per tradizione nulla ha a che fare con i principi guida del fanatismo jihadista, essendo da sempre mite e fedele a un islamismo moderato. Quello che noi speriamo è che si riesca presto ad andare oltre questa crisi e che i cittadini libici, martoriati ormai dal 2011, trovino la loro strada di democrazia e libertà.
L’Italia è sempre stata un punto di riferimento per i Paesi occidentali nei rapporti con la Libia. In passato il nostro Governo si è più volte attivato per cercare di risolvere la crisi politica pre e post Gheddafi. A vostro parere, quali errori sono stati compiuti e per quale motivo si è arrivati a una realtà tanto pericolosa per il nostro Paese?
Per rispondere a questa domanda occorre analizzare la polita estera italiana a partire dagli anni in cui Mu’ammar Gheddafi era al potere. Nel corso del tempo gli errori compiuti dall’Italia sono stati tanti, primo fra tutti, avallare la cacciata degli italiani dalla Libia nel 1970 allo scopo di salvaguardare gli interessi petroliferi di Eni, Finmeccanica e delle altre compagnie italiane. Un altro sbaglio strategico è stato effettuato nel 2008, sdoganando la figura di Gheddafi. In quel periodo si è passati dall’ospedale che lui aveva richiesto all’Italia come risarcimento per i presunti danni coloniali alla strada litornaea con un costo previsto di tre miliardi e mezzo di euro, ovvero lo stesso importo, rivalutato, che era stato confiscato agli italiani nel 1970.
Infine nel 2011, l’Italia è intervenuta in Libia insieme alle altre democrazie occidentali per cercare di rasserenare la situazione dopo la primavera araba. In quel frangente però, il nostro Paese ha perso il ruolo centrale che da sempre deteneva nei rapporti con i libici a favore di Nazioni come Francia e Inghilterra, che sono riuscite anche a soppiantare il nostro primato nelle concessioni petrolifere.
Ad oggi il rischio è che si verifichi un’immobilità politica che non riesca ad affrontare il pericolo derivante dalla crisi libica. Ma se l’Europa è lontana, l’Italia è vicina. A separarci dai confini della Libia ci sono solo poche centinaia di miglia marittime. Risolvere la situazione è quindi per noi una questione fondamentale per la sicurezza del Paese. Ben venga la telefonata di ieri tra il Premier Matteo Renzi e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi se lo scopo, come dichiarato, è quello di creare un’asse Italia - Egitto che abbia un ruolo guida nell’ambito di un intervento delle Nazioni occidentali.
Riassumendo: l’errore che si potrebbe compiere oggi è quello di prendere sottogamba la minaccia dell’ISIS, come è stato fatto nel 2011, quando nessuno si è preoccupato di pensare al dopo Gheddafi, lasciando che le lotte fratricide in Libia avessero il sopravvento e non creando alcun piano che potesse riportare la democrazia nell’area.
Ieri pomeriggio, all’ aeroporto militare di Pratica di Mare, è arrivato l’aereo che ha portato a Roma i cittadini italiani evacuati dalla Libia in seguito alle minacce dell’ISIS. Tra essi c’é Bruno Dalmasso, incaricato anni fa dall’AIRL di seguire il restauro del cimitero di Hammangi a Tripoli. La situazione dunque tocca la vostra associazione da molto vicino. Avete qualche notizia?
L’AIRL è molto vicina a Bruno Dalmasso, persona che ha fatto del bene alla nostra associazione, aiutandoci nel restauro del cimitero di Hammangi.
Da ieri mattina non riusciamo a contattarlo perché il telefono libico in Italia non risulta funzionante. Probabilmente, dato che gran parte degli italiani rimpatriati sono funzionari dell’ambasciata italiana in Libia, e tenendo conto dell’alto rischio dell’operazione, le informazioni saranno filtrate. Dalmasso purtroppo sta vivendo una situazione tragica, dopo aver trascorso più di 40 anni a Tripoli, ritrovandosi a tornare in Italia senza avere più nulla.
Sottolineiamo che le evacuazioni di oggi non possono essere correlate con quelle del 1970. In quel periodo gli italiani persero tutto e soprattutto la Libia non era territorio di guerra. La situazione sembra più simile invece a quella del 1942.
Gli italiani che ieri sono stati costretti ad evacuare la zona, sono persone che vivevano e lavoravano lì e che sono state obbligate a partire. L’unico rimasto è ormai Monsignor Martinelli, che ha deciso di non lasciare la Libia per stare vicino ai fedeli cristiani. Tutti gli altri, compreso l’ambasciatore Buccino Grimaldi, sono ormai rientrati in Italia.
Data la minaccia per il nostro Paese, a breve le truppe Italiane potrebbero sbarcare in Libia. E’ il modo giusto di affrontare la questione?
Sotto l’egida delle Nazioni Unite potrebbe esserlo. In un momento di grave crisi come quello attuale, l’Italia deve avere un ruolo guida, più che altro perché subisce le minacce più pericolose e per l’affetto particolare che ha sempre legato il nostro Paese alla Libia.
Se dovessimo partecipare a una missione pacificatrice nell’area, sarebbe una soluzione benvenuta.
Siamo ancora in tempo per risolvere la situazione o è ormai troppo tardi?
Siamo ancora in tempo, ma il tempo è finito. Non bisogna più tergiversare, ma individuare una soluzione definitiva che porti la pace al più presto.
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