Creare posti di lavoro a costo zero per lo Stato e convenienti per le imprese si può. A spiegarlo il quotidiano La Stampa che, insieme alla Fondazione Hume, propone il Job-Italia.
Soldi per fare investimenti pubblici creando posti di lavoro non ci sono. Ma l’Italia ha un disperato bisogno di creare occupazione, abbassare il tasso di disoccupazione e mettere così in moto un circolo vizioso positivo che incida su crescita, sviluppo, consumo e benessere per lavoratori e famiglie. Partendo dal presupposto che le risorse non ci sono il quotidiano La Stampa, insieme alla Fondazione Hume ha provato a cambiare il punto di partenza. E’ possibile favorire l’occupazione, invogliare le aziende ad assumere senza costi aggiuntivi per lo Stato? mettendo in pratica il Job-Italia sì. Ecco come.
Job-Italia
L’idea in pratica è questa: fare in modo che il costo del lavoro diminuisca per le casse delle aziende disposte a creare nuovi posti di lavoro, mettere in tasca ai lavoratori l’80% del costo aziendale e non il 50% come avviene oggi e, contemporaneamente, non gravare sulla casse dello Stato.
Il Job-Italia permette alle imprese che avrebbero già intenzione di assumere di creare un numero di nuovi posti di lavoro ancora maggiore. Arrivando quasi a dimezzare il costo del lavoro a carico delle imprese infatti, queste potrebbero assumere circa il doppio dei lavoratori inizialmente programmati.
Presupposto indispensabile per l’utilizzo del Job-Italia (e quindi il dimezzamento del costo del lavoro) da parte delle aziende è la creazione di nuovi posti di lavoro. Il Job Italia sarebbe a tutti gli effetti un contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato con durata minima di 1 anno e massima di 4. Nel caso del contratto a tempo indeterminato, al temine del quarto anno il Job-Italia si trasforma automaticamente in un contratto ordinario a tempo indeterminato, con tutti gli oneri connessi.
Job-Italia conveniente per tutti
Il Job-Italia sarebbe una tipologia di contratto conveniente per le imprese perché dimezza il costo del lavoratore e ancora di più per il dipendente che riceve l’80% dello stipendio lordo.
Per essere più chiari riproponiamo l’esempio del quotidiano La Stampa. Prendiamo lo stipendio minimo di un lavoratore con il contratto Job-Italia: 12.500 euro lordi pagati dall’azienda. Di questa somma il lavoratore incassa 10.000 euro netti; 700 vanno per il pagamento Irpef e 1.800 accantonati a fine pensionistici. In questo modo il lavoratore incassa subito l’80% del costo aziendale a fronte del 52,2% attuale e i contributi sociali mancanti non sono a spese dell’impresa, ma a carico dello Stato.
Quindi lo Stato incassa di meno? No
Perché se da una parte lo Stato incassa meno contributi sociali, dall’altra le tasse pagate a fronte dei nuovi posti di lavoro bastano a compensare il minor gettito di contributi sociali. La creazione di un posto di lavoro infatti, comporta non soltanto contributi Inps e Inail, ma anche altre tasse come Iva, Irpef, Irap, Ires che sommate valgono circa il triplo dei contributi previdenziali.
Per essere sicuri che le tasse derivanti dai nuovi posti di lavoro siano sufficienti a compensare le minori entrate è necessario calcolare la soglia di reattività ovvero il moltiplicatore occupazionale sotto il quale il gettito diminuisce e sopra il quale il gettito aumenta. In parole povere la Fondazione Hume si è chiesta quanti nuovi posti di lavoro si dovrebbero creare (e quindi quante nuove persone che pagano le tasse sono necessarie) per far sì che lo Stato non ci rimetta.
Tale soglia è circa 1.4. Ciò significa, in breve, che se i nuovi posti di lavoro passano da 100 a 140 il nuovo contratto è a costo zero, perché il gettito della Pubblica amministrazione resta invariato; se passano da 100 a meno di 140 tipo 130, il nuovo contratto costa, perché fa diminuire il gettito e non garantisce sufficienti maggiori entrate; infine se passano da 100 a più di 140 tipo 160 il nuovo contratto non solo non costa, ma fa aumentare l’incasso dello Stato.
Nuovi posti di lavoro
La domanda adesso è: quanti nuovi posti di lavoro creerebbero le imprese con il Job-Italia? Secondo uno studio del La Stampa e della Fondazione Hume molti, anzi moltissimi. Un numero più che sufficiente per superare la soglia dell’1.4. Negli ultimi mesi sono state svolte indagini tra le imprese italiane per sondare la loro eventuale disponibilità ad adottare il Job-Italia assumendo nuovi lavoratori.
Nello scenario più prudente le imprese che senza Job-Italia creerebbero comunque circa 300mila posti di lavoro, se potessero usufruire del Job-Italia ne creerebbero da 600 a 800 mila, soprattutto nelle piccole imprese. In questo caso il gettito dei contributi sociali si riduce di 3 miliardi, ma quello delle altre imposte (Iva, Irpef, Irap, Ires...) aumenta di almeno 6 miliardi, il che basta a pagare i contributi sociali di tutti i lavoratori assunti con il Job-Italia, e verosimilmente lascia ancora qualcosa nelle casse dello Stato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA