Bankitalia: i migranti sostengono la demografia ma rendono più poveri gli italiani

Alessio Trappolini

03/04/2018

09/04/2018 - 09:06

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Bankitalia si è occupata del fenomeno della migrazione e degli impatti sull’economia italiana. Vediamo i risultati dei due papers pubblicati pochi giorni fa

Bankitalia: i migranti sostengono la demografia ma rendono più poveri gli  italiani

Il fenomeno della migrazione e gli impatti sulla crescita economica dell’Italia sono stati messi sotto la lente dei ricercatori di Banca d’Italia. Secondo due Occasional Papers pubblicati lo scorso 28 marzo, il fenomeno della migrazione in Italia avrebbe contribuito alla crescita dei livelli di povertà negli ultimi anni ma al contempo avrebbe sostenuto i parametri demografici sottostanti al mercato del lavoro italiano.

Economia e flussi migratori: Italia più povera di vent’anni fa

La crescita nei livelli di povertà degli ultimi anni risente dell’intensificarsi dei fenomeni migratori. Lo sostengono Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio nell’Occasional Papers dal titolo «La disuguaglianza della ricchezza in Italia: ricostruzione dei dati 1968-75 e confronto con quelli recenti».

Secondo i due ricercatori la quota di immigrati - che nell’indagine è possibile definire solo sulla base del luogo di nascita e limitatamente alla parte regolarmente residente – risulta crescente, a partire dall’1 per cento dei primi anni novanta fino a circa il 10 per cento negli anni più recenti.

In questo segmento di popolazione, la quota di poveri è cresciuta nel corso degli anni in modo sostenuto, portandosi da circa il 10 per cento dei primi anni novanta – quota in linea con la restante parte di popolazione - a oltre il 30 per cento degli ultimi anni.

Ciò è da attribuirsi a una radicale modifica della composizione degli stranieri presenti in Italia, con una riduzione della quota di persone nate in Europa occidentale, in America e in Oceania e una crescita dei soggetti nati nei paesi dell’Europa orientale e soprattutto dell’Africa e dell’Asia.

Alla base della scarsa crescita economica vi è un processo demografico avverso

Meno severo il giudizio del paper «Il contributo della demografia alla crescita economica: duecento anni di storia italiana» firmato da Federico Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli. Secondo il trio di ricercatori i flussi migratori previsti limiteranno l’impatto negativo della demografia sulla crescita economica del Belpaese.

Già, perché lo studio di Bankitalia ha messo in luce una realtà davvero preoccupante. Secondo quanto rileva lo studio, l’Italia «è tra i paesi sviluppati che si trovano oggi a fronteggiare uno scenario demografico il cui impatto sulla crescita del prodotto pro capite nei prossimi decenni sarà negativo».

Ciò significa che «le prospettive per il prossimo cinquantennio sono di un’ulteriore crescita della popolazione anziana mentre l’età media della popolazione salirà di oltre 5 anni tra il 2017 e il 2061, passando da 44,9 a 50,2. La quota di popolazione in età da lavoro ha raggiunto un massimo del 70 per cento all’inizio degli anni ’90; negli ultimi venticinque anni ha cominciato a flettere e, sulla base delle previsioni, continuerà a ridursi nel prossimo cinquantennio fino a scendere sotto il minimo storico (59 per cento registrato nel 1911) dopo il 2031».

Gli sviluppi demografici di un Paese sono alla base della sua prosperità economica. Il tre studiosi, infatti, ci spiegano che il contributo alla crescita economica della modifica nella composizione per età della popolazione, affermano i ricercatori, "può essere significativo in quanto i Paesi la cui popolazione mostra una quota di giovani in crescita hanno le potenzialità per raccogliere un dividendo dall’evoluzione demografica attraverso l’aumento dell’offerta di lavoro per quantità e qualità”, cosa che in Italia non si avvera già da tempo.

La ricerca di Bankitalia si conclude con un monito: «per compensare il contributo negativo della demografia, in modo da mantenere il reddito reale pro capite sui livelli attuali, la produttività dovrebbe crescere a un ritmo dello 0,3 per cento all’anno. Tre sono i motori più importanti in questa direzione: l’allungamento della vita lavorativa, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’evoluzione nella dotazione di capitale umano della forza lavoro».

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