Investire in startup: opportunità e rischi

Luca Servadei

01/07/2022

28/11/2023 - 13:25

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Qualche indicazione su come approcciare il mercato dell’equity crowdfunding senza brutte sorprese.

Investire in startup: opportunità e rischi

Avete una somma che volete far fruttare e siete incuriositi dalle nuove iniziative di business e dalle idee cariche di potenziale? Siete elettrizzati all’idea di potervi impegnare in progetti interessanti e di diventare eventualmente mentori di storie di successo? Desiderate contribuire all’economia reale, sostenendo imprenditori nel momento iniziale del bisogno? Se avete risposto sì a queste domande potreste essere degli ottimi “candidati” a investire in startup.

Da questa “visione” a diventare investitori professionisti il passo è abbastanza lungo (e ricco di ostacoli). Esistono tuttavia diversi possibili step intermedi per approcciare il mondo del business aprendo una startup. Un mondo che un tempo era appannaggio di pochi ma ora, idealmente, è diventato alla portata di tutti. Non senza alcuni accorgimenti.

Da un lato, infatti, per diventare venture capitalist la strada da intraprendere è generalmente il percorso bancario o quello dell’imprenditoria. Ciò infatti consente di valutare in modo affidabile le potenzialità delle startup del proprio settore, ad esempio. Oppure si possono investire i propri soldi in qualche startup (diventando un cosiddetto “business angel”), magari attraverso una delle principali piattaforme di equity crowdfunding.

Con l’equity crowdfunding

Finanziare una startup o più in generale un’azienda attraverso la raccolta fondi azionaria significa investire soldi in cambio di quote del loro capitale. In questo modo se ne diventerà, a tutti gli effetti, soci. Se un’impresa in cui si è investito ha successo, le quote acquistate potranno vedere il proprio valore apprezzarsi rispetto al costo d’acquisto.

Nella maggior parte dei Paesi in cui operano portali di crowdfunding, il fenomeno rientra nell’ambito di applicazione di discipline già esistenti. Proprio l’Italia è stata invece il primo Paese in Europa a dotarsi di una normativa specifica e organica relativa al solo equity crowdfunding. Parliamo del decreto legge n. 179/2012 (convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221) recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese» (noto anche come «Decreto crescita bis»). E tra queste misure rientrano anche le modalità di finanziamento e investimento sulle startup.

Il decreto ha infatti delegato alla Consob il compito di disciplinare alcuni specifici aspetti del fenomeno. L’obiettivo finale dell’iniziativa è quello di creare un ambiente affidabile. In grado, cioè, di creare fiducia in coloro che sono interessati a investire il proprio capitale su una startup. La Consob ha adottato il 26 giugno 2013 il nuovo regolamento, con cui è stato istituito il registro dei gestori dei portali, introducendo i requisiti di onorabilità e professionalità per chi controlla o amministra le piattaforme e l’indicazione di informare ed educare il pubblico che possa essere interessato a questo tipo di investimento/donazione.

I vantaggi fiscali

Il Regolamento prevede una esenzione dall’applicazione della disciplina sui servizi di investimento per gli investimenti che siano complessivamente al di sotto di una determinata soglia. Si tratta di 500 euro per singolo ordine e 1.000 euro per ordini complessivi annuali, per gli investimenti delle persone fisiche; 5.000 euro per singolo ordine e 10.000 euro per ordini complessivi annuali, per gli investimenti delle persone giuridiche.

In Italia poi è previsto che una persona fisica possa detrarre dalle imposte il 30% del valore degli investimenti effettuati in startup e Pmi innovative, mentre le imprese (persone giuridiche) possono dedurre il 30% dell’investimento dall’imponibile fiscale. Per saperne di più leggi Investire in equity crowdfunding: incentivi fiscali e come ottenerli.

I rischi da considerare

Nonostante la regolamentazione, i benefici e le misure volte a proteggere gli investitori, se non avete mai rischiato nemmeno a Monopoli forse è meglio che lasciate stare. Perché un assunto è chiaro e cristallino: quello in startup è un investimento ad alto rischio, sebbene comporti in cambio la possibilità di profitti elevati, oltre a una serie di benefici aggiuntivi. È infatti sempre possibile scommettere sulla realizzazione di qualcosa di nuovo, partendo di fatto da un’idea, un progetto e un’entità che non ha una sua storia.

Ma ci sono risultati da presentare e dividendi da promettere. Investire in una startup, nella peggiore delle ipotesi, può portare alla perdita del capitale, perché l’impresa fallisce o cresce troppo lentamente per arrivare all’obiettivo. Ecco perché il consiglio primario è quello di avere la capacità di sostenere economicamente l’eventuale perdita dell’intero capitale investito.

Un altro elemento da considerare che potrebbe rappresentare un ostacolo “psicologico” per gli investitori più razionali è il fatto che la decisione se investire o meno si basa di fatto su un impulso emozionale rispetto al progetto che ci viene presentato.

Anche la illiquidità è un’eventualità di cui tenere conto. Anche se l’azienda ha successo, è assai probabile che per alcuni anni non sia possibile vendere le proprie quote, per dar modo al business di crescere e perché non esiste un cosiddetto mercato secondario organizzato su cui è possibile effettuare gli scambi. (Peraltro, nel nostro Paese, l’art. 25, comma 2 del “decreto crescita bis” vieta proprio la negoziazione degli strumenti finanziari emessi dalle startup innovative, così come la distribuzione di dividendi per i primi 5 anni).

Certo, è opportuno comunque richiedere e verificare che il business plan della startup contenga una sezione adeguata dedicata al funding e al cash flow, insieme a una strategia finanziaria di più ampio respiro che preveda anche dei “piani b”, oltre a una chiara spiegazione di come verranno impiegati i finanziamenti. Ma alla fine sarà il nostro “fiuto” ad avere la meglio.

Come ha risposto il nostro Paese a questa opportunità? Inizialmente il mercato dell’equity crowdfunding è partito con difficoltà. Sono seguiti nuovi regolamenti per agevolare gli investimenti. Un anno di svolta, in particolare, è avvenuto nel 2018: in quei mesi un’impennata delle somme raccolte rispetto al periodo precedente rappresentarono il segno che qualcosa finalmente si stava muovendo.

In quattro anni decuplicò il numero delle campagne di equity crowdfunding finanziate con successo, passando dalle 4 del 2014 alle 44 del 2018. A fine anno arrivarono a 124, divenute 169 nel 2021. È aumentato esponenzialmente anche il numero degli investitori: si è passati dai 134 nel 2014 a 7.770 nel 2018. E nel 2021 tale cifra ha raggiunto il numero di 16.799 persone che hanno versato capitali per le startup. Dopo essersi inizialmente ridotto, è invece in risalita l’importo medio versato: nel 2014 la media era di 9.800 euro, nel 2018 è scesa a 3.200 euro. Ma nel 2021 è tornata a quota 5.400.

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